A furia di vertici falliti, lo stop alla prescrizione dopo la sentenza di primo grado che tre partiti (Pd, Italia viva e Leu) su quattro della maggioranza di governo (il quarto è il M5S) non avrebbero mai voluto vedere entrare in vigore nel testo attuale, diventerà invece legge il prossimo primo gennaio. E il ministro della giustizia Alfonso Bonafede, al termine dell’ennesima riunione che ha potuto solo registrare il mancato accordo sul punto, si è persino detto «orgoglioso» di poter festeggiare il capodanno con la riforma. Quella che lui considera «una norma di civiltà» e che al contrario la maggioranza, i penalisti, molti magistrati e la gran parte dei giuristi considerano una norma incostituzionale. Un passo in avanti, piccolo, i giallo-rossi lo hanno invece fatto sulle regole delle intercettazioni.

Al centro del vertice a palazzo Chigi c’era però la prescrizione. Davanti al presidente del Consiglio è ripartito il pressing degli alleati per convincere Bonafede a un rinvio dell’entrata in vigore della «sua» riforma, approvata all’inizio dell’anno assieme alla Lega. Pd, Iv e Leu chiedono tempo per approvare norme di sicuro impatto sulla durata dei processi. Per evitare che altrimenti la fine della prescrizione per chiunque, colpevoli e innocenti, dopo il primo grado, si trasformi con certezza in un «ergastolo processuale». Processi infiniti senza più il pungolo del limite temporale, altro che «ragionevole durata» costituzionale. Bonafede l’ha spuntata, solo dichiarandosi «disponibile senza preclusioni» a discutere anche delle proposte degli alleati, in testa la «prescrizione processuale». Ma dal 7 gennaio. Intanto la fine della prescrizione entra in vigore. Per quanto non produca effetti pratici immediati (è una norma di diritto sostanziale) una eventuale modifica successiva avrà l’effetto di introdurre due regimi diversi.

Il rinvio è invece al centro dell’accordo sulle intercettazioni. Altrimenti la riforma firmata dall’ex guardasigilli Orlando (Pd) e contestata dai 5 Stelle nelle piazze e sul blog, sarebbe entrata in vigore il 1 gennaio. Un rinvio ridotto rispetto a quello di sei mesi che il ministro voleva inserire nel decreto «mille proroghe». Appena due mesi: la proroga potrebbe essere approvata domani dal Consiglio dei ministri. Ma non è certo. Solo oggi «tutte le forze avranno modo di vedere la norma nero su bianco», ha spiegato alla fine del vertice Bonafede, «c’è un accordo di massima». Nel caso reggesse, il governo potrebbe fare un decreto ad hoc o inserire nel «mille proroghe» il quarto rinvio dell’entrata in vigore della riforma, stavolta fino al 1 marzo (una domenica); a parte arriverebbero le correzioni nel merito della intercettazioni sulle quali c’è adesso, forse, un’intesa.

Due mesi sono «giusto il tempo di approvare le modifiche concordate», ha spiegato il senatore Grasso che era al vertice nella delegazione di Leu ma è andato via prima della fine. Le modifiche sulle quali si è trovato un accordo riguardano due aspetti. Verrà recuperato il controllo del pm sulla massa delle intercettazioni grezze, dove adesso è previsto sia la polizia giudiziaria a decidere cosa palesemente non interessa ai fini delle indagini – un modo per evitare di trascrivere particolari irrilevanti. Sarà poi consentito agli avvocati di eccepire sulla rilevanza delle intercettazioni. Il difensore potrà ancora accedere all’archivio riservato – quello nel quale vengono conservati tutte le intercettazioni non (o non ancora) giudicate rilevanti – con le medesime modalità di sicurezza. Potrà cioè solo ascoltare l’audio senza poterne avere una copia e senza poter prendere appunti (cosa invece possibile per le intercettazioni rilevanti). Ma se sorgerà una divergenza su cosa è o non è irrilevante avrà la possibilità di rivolgersi al giudice (in contraddittorio con il pm).