Si trova in rete un vecchio video di due parlamentari 5 Stelle, confermati in parlamento, in cui rivendicano l’ostruzionismo del Movimento contro i voti di fiducia e i decreti (oggi le parti – e le idee – sono cambiate) e spiegano come la politica parlamentare si ispiri al detto «pagare moneta, vedere cammello». E invece ieri sera, una volta dato il via libera al voto di fiducia sul decreto sicurezza, i grillini che pure lo avevano chiesto per nascondere le loro divisioni e non permettere alla Lega di imbarcare in maggioranza il partito di Giorgia Meloni, si sono accorti di essere finiti in gabbia. Avendo pagato moneta per un cammello, la riforma della prescrizione, che Salvini non vuole ancora fargli vedere.

Non vuole neanche parlarne, il ministro dell’interno tornato dal Ghana qualche ora prima che anche Di Maio atterrasse a Fiumicino di ritorno dalla Cina. Rientri che avrebbero dovuto risolvere lo stallo incrociato sul decreto sicurezza – al senato – e la legge anti corruzione – alla quale i 5 Stelle stanno provando ad aggiungere in corsa lo stop definitivo della prescrizione dopo il primo grado di giudizio – in commissione alla camera. E invece solo Salvini può dire di aver ottenuto quello che cercava. La minaccia dei 5 Stelle di «essere leali sul decreto solo se la Lega sarà leale sulla prescrizione», ventilata dai vertici M5S, non si può prendere sul serio. Non saranno certo i grillini in calo nei sondaggi a segare il ramo sul quale sono seduti. Ovviamente voteranno la fiducia.

«Una cosa per volta», dice Salvini arrivando al senato direttamente dall’aeroporto, ben sapendo che la prima cosa che arriverà è proprio quella che interessa a lui. Il suo rifiuto sprezzante di discutere di prescrizione – «ma quale vertice, c’è la Champions» ha detto ieri sera- segnala che le posizioni sul merito della riforma restano distanti. Ma anche che al leghista interessa avere il massimo dell’attenzione per il suo decreto: oggi si deve parlare solo della sua vittoria.
Poi naturalmente un accordo si troverà. Conte in televisione annuncia che lo troveranno nel vertice di oggi, quello che inizialmente doveva essere dedicato alla manovra economica – ma per quante preoccupazioni stia dando, agita la maggioranza meno della giustizia. «La riforma della prescrizione è sacrosanta», dice il presidente del Consiglio, al quale però fino a qui non è bastato assumere le parti di Di Maio per convincere l’altro vice premier. «Lasciateci solo metterla a punto dal punto di vista tecnico». aggiunge. Peccato però che la «messa a punto» l’aveva già fatta il ministro della giustizia Bonafede, con un emendamento a una legge che parla d’altro e non concordato con i leghisti. Il Guardasigilli si era convinto a tentare il colpo di mano immaginando di fare leva sulla contemporaneità del decreto sicurezza che Salvini non avrebbe voluto mettere a rischio. Il leghista però è andato a vedere il bluff e al momento è solo lui quello che incassa.
La soluzione che certamente ci sarà – anche Salvini la dà per certa – prevede in ogni caso un passo indietro dei grillini. Il testo dell’emendamento sulla prescrizione non sarà quello presentato dai relatori 5 Stelle. Lo stesso Conte l’ha ridimensionato a «una proposta del Movimento». Anzi, al momento i grillini sperano almeno di mantenere la riforma all’interno del disegno di legge anti corruzione, magari modulandola sulla base dei reati. Perché è l’unica garanzia che possa essere approvata, alla camera, entro l’anno. Fosse per la Lega (e per la logica) la riforma andrebbe spostata in un provvedimento a parte.

Nell’attesa di un vertice che non c’è stato e di una soluzione che non è ancora arrivata, alla camera i presidenti grillini della prima e seconda commissione sono stati costretti a tenere in sospeso il parere sull’ammissibilità dell’emendamento sulla prescrizione. Ma volendo ancora provare a portare la legge in aula la prossima settimana, hanno fatto andare aventi i lavori al buio, in un crescendo di comiche forzature che hanno scatenato la rabbia delle opposizioni. Dal Pd, per la seconda volta in pochi giorni, è arrivata un’offesa a una parlamentare grillina. I 5 Stelle invece hanno trovato legittimo piegare i lavori parlamentari alle contorte esigenze della maggioranza. Lontani i tempi in cui rivendicavano i diritti delle opposizioni. E prima di pagare moneta vedevano il cammello.