La minaccia di Renzi di votare contro il governo sulla prescrizione è rivolta ai 5 Stelle e al ministro Bonafede, ma fa arrabbiare soprattutto i democratici e Zingaretti. A litigare sulla giustizia sono così i due partiti, Pd e Italia viva, ufficialmente schierati su posizioni simili. I dem accusano l’ex segretario scissionista di cercare visibilità fino al punto da essere disponibile a votare con Salvini, non uno specchiato garantista. I renziani replicano che i timidi distinguo del Pd hanno lasciato campo libero a Bonafede: la sua riforma che abolisce la prescrizione dopo il giudizio di primo grado è in vigore già da un mese, e ancora si discute di se e come porvi rimedio.

Il Pd si affida ormai da settimane alla mediazione di Conte, non fosse che quella che il presidente del Consiglio aveva finalmente trovato – distinguere tra condannati e assolti in primo grado – si è rivelata presto insufficiente (anche per la contrarietà di Iv). Renzi d’altra parte minaccia più di quello che può effettivamente mantenere. «Bonafede e tutti gli altri devono sapere che non hanno i numeri, sicuramente non li hanno al senato». Alla camera invece, anche se Iv sulla prescrizione decidesse di votare con le opposizioni – come ha già fatto in commissione giustizia, peraltro – i giallo-rossi reggerebbero. In questo modo al senato, dove in effetti la maggioranza sarebbe sul filo, la questione potrebbe non arrivare nemmeno.

Sia il decreto milleproroghe, infatti, che il disegno di legge Costa che abolisce del tutto la riforma Bonafede, sono all’esame di Montecitorio. Nel milleproroghe Italia viva ha un emendamento a prima firma della responsabile giustizia Annibali che rinvia di un anno (quindi fino al 1 gennaio 2021) la riforma Bonafede, e intanto riporta in vita le regole introdotte dall’ex ministro della giustizia Orlando. Le commissioni prima e quinta che stanno esaminando il decreto potrebbero arrivarci già oggi (è all’articolo 8) ma il tema dovrebbe essere accantonato (come già gli emendamenti renziani sulla sugar tax) a meno che il governo non dia subito parere contrario. In teoria il Pd avrebbe modo di convergere su altri emendamenti sospensivi, senza per questo darla vinta a Renzi. Il radicale di +Europa Magi ha presentato tre emendamenti, oltre alla cancellazione della riforma Bonafede o al suo rinvio per quattro anni propone anche la sospensione di un solo anno. Sospensioni più o meno lunghe chiedono anche Lega e Forza Italia. In pratica la linea dei dem è quella di costringere Conte alla mediazione, non solo sulla prescrizione ma anche su molte altre questioni aperte nel milleproroghe: domani dovrebbe è previsto un vertice di maggioranza. «Abbiamo chiesto al presidente Conte di produrre una sintesi, se non ci sarà andremo avanti con la nostra proposta di legge», ha detto Zingaretti, riferendosi a una proposta che può essere abbinata al disegno di legge Costa e tornare in aula tra venti giorni. Le pensanti critiche che la riforma della prescrizione ha raccolto nello scorso fine settimana dai magistrati che hanno aperto l’anno giudiziario nei diversi distretti rafforzano le aspettative del Pd in una mediazione. E indeboliscono posizioni oltranziste come quella del reggente 5 Stelle Crimi, secondo il quale la nuova prescrizione è cosa fatta per sempre: «È legge e se qualcuno vuole cambiare le carte in tavola se ne assumerà le responsabilità».

Il vicesegretario del Pd Orlando, impegnato nella mediazione che passerebbe anche per una distinzione tra le fattispecie di reato, scarica su Italia viva la colpa della mancata soluzione: «Se non si fossero alzati i toni, Bonafede sarebbe costretto a rispondere ai vertici degli uffici giudiziari che hanno criticato in modo puntuale le nuove norme sulla prescrizione». Mentre secondo l’ex ministro della giustizia la soluzione delle criticità proposte dai magistrati, e quindi non più «solo» dagli avvocati penalisti e da molti giuristi, «sarà il presupposto a qualunque accordo, quando si tornerà a discutere nel merito». Argomenti ai quali Renzi oppone un categorico tweet: «Difendo la riforma Orlando perché a differenza di altri non mi vergogno delle riforme del nostro governo». E nel suo governo il ministro della giustizia era Orlando (e non Gratteri, come da sua prima proposta al Quirinale).