Maestro di ironia, narratore specialmente efficace nella forma breve, Michail Zošcenko ha raccolto un seguito fin dalle sue prime pubblicazioni in forma anonima, che gli valsero l’attenzione di Maksim Gorkij, mentre i critici non di rado gli furono ostili. Una sintesi feroce lo vuole collegato al gruppo dei Fratelli di Serapione, che univa impegno marxista e ricerca formalista: il suo terreno fu, in primo luogo, la cronaca della esistenza urbana in un mondo sovietico sempre più sottoposto a censure e aggressioni dell’autorità in ogni aspetto quotidiano.

La sua commedia «Un giorno disgraziato» (edita nell’antico e benemerito Teatro satirico russo, curato da Milli Martinelli per Garzanti nel 1979) vede un portinaio-filosofo giustificare a sé stesso il furto di alcune aringhe con queste parole: «No, ma cos’è un furto, cittadini? Furto è quando in una parola, rubano, arraffano, scassinano o ammazzano della gente. Allora sì che è furto. Questo invece, bah, furto non è».

Introdotto a noi dall’antologia Russia rossa che ride edita da Slavia nel 1934, Zošcenko torna alla nostra attenzione grazie alla edizione dei Racconti sentimentali e satirici (Quodlibet, pp. 379, € 18,00) nella versione appassionata di Sergio Pescatori, scomparso nel 2015, edita postuma a cura di Manuel Boschiero e Cinzia De Lotto.

La straordinaria capacità di Zošcenko nel narrare un presente fatto di restrizioni, censure e ostacoli si rende particolarmente evidente in prose brevi come «Il compagno Gogol’», in cui immagina una recensione in perfetto stile zdanoviano a un’opera narrativa gogoliana: «soprattutto sto demonio schifoso, fa uscire la raccolta completa delle sue opere, e senz’altro tira su soldi a palate, spreca la carta, quando invece le cooperative non ne hanno neanche un po’ per incartare, e per di più se ne va in giro tutto gongolante». Pescatori puntualizza la complessità dell’esercizio del traduttore in questo repertorio: «il lettore non russo rimane irrimediabilmente tagliato fuori dalle possibilità di valutare con pienezza…. Troppo di ciò che costituisce l’essenziale, in primo luogo le peculiarità linguistiche, gli è inevitabilmente precluso».

Le pagine più brillanti, per esempio in «Una storiellina ridicola», partono da un dettaglio quotidiano per riassumere gli elementi del continuo dialogo con il pubblico che ha da subito amato la sua produzione: «al giorno d’oggi paiono tutti d’accordo: chiedono di scrivere cose da ridere, come se dipendesse da noi, come se le storie ce le inventassimo così». La raccolta si chiude con «Avventure di una scimmia, racconto uscito nel 1945, sul giornale per bambini «Murzilka», subito riproposta in altre pubblicazioni, tra cui «Zvezda», per cui suscitò, insieme a quello di Anna Achmatova, l’attacco furibondo di Andrej Ždanov, andando incontro a un amaro destino di emarginazione: per sei anni Zošcenko venne allontanato dall’Unione degli Scrittori, guadagnandosi da vivere con traduzioni edite anonime e con il lavoro presso un calzaturificio. Le vicende pinocchiesche della bertuccia che fugge da uno zoo nel sud della Russia durante un bombardamento, andando incontro a avventure rocambolesche, si concludono con la compiuta educazione dell’animale: «seduta a tavola, che stava lì con aria d’importanza come una cassiera al cinema. E mangiava la minestra di riso col cucchiaio da tè».