Saldi di fine stagione. Tanto per cominciare, il governo italiano privatizza le poste. “Poi si vedrà”, ha aggiunto il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomani. Si vedrà se sarà maggiore la quota da vendere ai privati (oggi è fissata 40%), e si vedrà quali altre privatizzazioni sono in programma per fare cassa.

Perché la vendita di quote di altri “gioielli di famiglia”, una operazione che giocoforza investirà anche il futuro di centinaia di migliaia di lavoratori – era già stata annunciata tre mesi fa dal presidente del Consiglio Enrico Letta: Sace e Grandi Stazioni, Enav, Stm, Fincantieri, Cdp Reti, il gasdotto Tag e un 3% di Eni. E, chissà, magari anche la fontana di Trevi, ironizza chi si oppone alle (s)vendite miliardarie.

Il decreto privatizzazioni verrà varato oggi durante il consiglio dei ministri e secondo il numero uno di via XX Settembre dovrebbe fruttare complessivamente almeno 12 miliardi di euro. E solo il piatto forte, Poste Italiane, secondo le previsioni dovrebbe garantire allo Stato un incasso di almeno 4 miliardi. L’operazione si annuncia complessa e non senza punti interrogativi considerando che si tratta di un’azienda enorme (e sana) che nel 2012 ha ottenuto ricavi per 24 miliardi di euro, con un utile che ha superato il miliardo; un’azienda che dà lavoro a 145 mila persone, con 13 mila uffici postali, 2.500 uffici di recapito, 19 centri di meccanizzazione postale, 110 mila postazioni di lavoro. E ancora: un canale web con 8 milioni di visitatori unici e 26.400 portalettere dotati di terminale per distribuire la posta sul territorio.

 

Secondo le intenzioni del governo, la maggioranza del capitale di Poste Italiane rimarrà “saldamente” nelle mani dello stato, ricalcando il modello di altre privatizzazioni dei servizi postali già avvenute in Europa (la recente privatizzazione della Royal Mail britannica ha fruttato 3 miliardi di sterline con la cessione di una quota al 33%). L’operazione dovrebbe strutturarsi come una Offerta pubblica di vendita rivolta per il 50-60% a investitori istituzionali, una parte fino al 5% riservata ai dipendenti e la restante al pubblico. La cessione dovrebbe avvenire entro l’estate.

La decisione è già presa e non mancano le prime (timide) critiche. Il più preoccupato di tutti sembra essere Massimo Cestaro, segretario generale della Slc Cgil: “Siamo francamente molto imbarazzati e molto stupiti”, ha commentato ai microfoni di RadioArticolo1. “Non si capisce se si comincia col 40% per arrivare a percentuali più alte, perché la cosa sarebbe particolarmente preoccupante. Ma la cosa più grave è che questa iniziativa del ministro parte senza una consultazione con i sindacati di categoria. Questo credo sia un comportamento condannabile, anche perché stiamo parlando della più grande azienda italiana”.

Per Mario Petitto, segretario generale della Slp Cisl – da sempre sindacato di maggioranza – “l’azienda vive se rimane indivisa”. Quanto al tema dell’azionariato ai dipendenti, “non vogliamo rivendicare percentuali altissime tali da squilibrare il governo dell’azienda ma riteniamo che una quota del 5% sia consona ai lavoratori, una quota che deve essere gratuita”. Ma in buona sostanza la Cisl ha ben poco da obiettare sull’apertura del capitale ai privati: “Si tratta di una buona operazione”.