L’anno che appena comincia – anche grazie agli elementi che hanno caratterizzato l’anno che ci stiamo lasciando alle spalle – vedrà aumentare il debito pubblico a livello mondiale in modo rilevante.

Il Fondo monetario calcola per i paesi avanzati un salto dal 104% rispetto al Pil del 2019 al 124%. Cifra vertiginosa che già da sé indica la misura dei cambiamenti dovuti alla crisi sanitaria che si fa politica, sociale e democratica.

Ma quali scenari presenta la post-emergenza? Sarà proprio vero che nulla sarà come prima?

A questi interrogativi tenta di dare risposta un insieme di autori che contribuiscono a una nuova iniziativa editoriale, la rivista La Fionda 1/2020 «Nulla sarà come prima?», Rogas Edizioni, di cui compare attualmente il primo numero, sotto la direzione di Geminello Preterossi e del giurista Alessandro Somma.

I vari contributi prendono in considerazione gli scenari sanitari, politico, geopolitici, economici ed europei che si stagliano di fronte a noi, chiudendo con la traduzione di due inediti del sociologo Wolfgang Streeck e di Álvaro García Linera, ex vicepresidente della Bolivia sotto il Mas di Evo Morales, considerato fra i massimi intellettuali latinoamericani viventi.

Fra i contributi che riguardano più direttamente i temi economico-finanziari cogliamo un aspetto importante segnalato tanto da quello di Vladimiro Giacché che dai giovani Alessadro Bonetti e Andrea Muratore: le vecchie idee di base della cultura neoliberista – autosufficienza del mercato, interventismo pubblico come fattore residuale, capacità della mera dinamica di offerta e domanda di fare fronte a «shock» come quello attuale hanno definitivamente mostrato la propria insensatezza.

E non si tratta solo dell’analisi delle dinamiche attuali che lo rivela, aggiungiamo noi, ma gli stessi personaggi che fino a poco tempo prima si sono distinti per le invocazioni di «fare largo al privato» oggi gareggiano per chiedere un sostegno dello Stato.

Se questo assunto ha una evidenza palpabile resta il quesito sull’assetto istituzionale europeo.

Se il sistema abbandona la vecchia dogmatica liberista, anche la struttura della governance mercatista viene abbandonata in modo da evitare che il rigetto dell’ortodossia economica sia un mero espediente tattico volto a gettare il peso della crisi sulle spalle dei cittadini?

Nella miglior tradizione del fertile dibattito politico non c’è una unanimità nei contributi: più ottimista Laura Pennacchi, meno speranzoso Mimmo Porcaro, per il quale la svolta del «Next Generation» è reale e non contingente ma trova un limite invalicabile nella impossibilità di mettere effettivamente in comune i debiti europei, stante la divergenza fra gli stati e le retoriche contro le «cicale del sud» tanto in voga nei paesi autodefinitisi «frugali».

Merita anche citare il saggio di Pino Arlacchi, noto sociologo già collaboratore di Giovanni Falcone ed ex vicesegretario delle Nazioni unite, che prevede l’avvento di un mondo multipolare più pacifico in seguito al declino dell’egemonia degli Stati uniti.

Una posizione che rispecchia il pensiero di due sue recenti opere: una appena edita, Contro la paura, in cui mostra il declino delle forme di violenza collettiva nel mondo attuale, argomentando che l’insistenza a rappresentarlo come posto pericoloso e imbarbarito è funzionale invece a nascondere la consistenza della maggiore minaccia esistente al benessere collettivo; il dominio del capitalismo finanziario, da lui analizzato ne I padroni della finanza mondiale.