Può succedere, quando regna la confusione ed è difficile comprendere da che parte risieda la ragione, che la risposta arrivi in una pratica semplice: l’ascolto. Negli ultimi tempi, complici sicuramente i social, il dialogo e il confronto tra alcune femministe e attiviste trans si sono trasformati in scontri feroci, in fratture nette tra persone che per anni hanno condiviso gli obbiettivi comuni della libertà e della lotta alla società patriarcale.

LA RIEDIZIONE di Alegre (dopo vent’anni da quella di manifestolibri) del testo di Porpora Marcasciano Tra le rose e le viole (pp. 224, euro 15, postfazione di Fabrizia Di Stefano) è uno strumento molto utile per fare chiarezza. Ritroviamo così le storie di dieci trans, che hanno raccontato la propria vicenda esistenziale all’autrice nel 1999-2000. Ci sono donne transizionate, transessuali, transgender, persone che hanno attraversato fasi varie attraverso percorsi inusitati, come Max: «la sua esperienza può essere considerata una ricerca dell’identità, attraverso l’omosessualità, la transessualità e il travestitismo, che lo hanno portato a delle scelte diverse da quelle che comunemente caratterizzano il transito».

La lettura di queste testimonianze non ha come sola conseguenza quella di lasciare il giusto spazio alla voce dell’esperienza, permettendo che essa tratteggi la realtà. Si tratta certo già di un risultato fondamentale: comprendere come l’orientamento sessuale, l’esperienza di rifiuto del binarismo di genere possano comportare conseguenze legali importanti. In quasi tutte le interviste contenute nel libro, per esempio, ritroviamo il riferimento alla persecuzione da parte della polizia, il carcere, l’articolo 1. Si tratta della Legge del 27 dicembre 1956, adesso abrogata, relativa alle misure nei confronti delle persone che venivano ritenute pericolose per la pubblica sicurezza e moralità, vale a dire anche omosessuali e transessuali. Molte delle donne protagoniste del libro sono state costrette ad abbandonare la città in cui abitavano o a osservare un coprifuoco, per anni.

CONOSCERE QUESTE STORIE è importante però soprattutto per la chiarezza rispetto ad alcuni aspetti teorici su cui si concentra il dibattito attuale, non solo tra femministe e trans: il concetto di genere infatti è entrato anche nel discorso pubblico più in generale e con molti fraintendimenti. Nel testo di Marcasciano, esso emerge con verità come un’inestricabile matassa di imposizioni storico-sociali, di anatomia e psicologia. Il genere non è cosa di cui ci si possa spogliare solo a parole. La negazione del binarismo passa dunque attraverso delle azioni carnali che trasformano, rigenerano, sanguinano. L’accesso a queste pratiche di passaggio, di adesione a un genere sessuale che non è quello che era stato attribuito alla nascita, si connotano tutte di desiderio e rischio. Che le operazioni non vadano a buon fine, che gli ormoni presi facciano troppo male, che si subisca violenza fisica o psicologica, che l’orgasmo diventi irraggiungibile. Il percorso di cambiamento, qualsiasi sia la tappa a cui esso approda, non essendo solo concettuale, comporta in ognuna di queste vite una visione del mondo e del sesso davvero trasgressiva.

NELLA POSTFAZIONE di Fabrizia Di Stefano troviamo condensati riferimenti bibliografici preziosi quanto necessari, riflessioni e inviti: «femministe, soggettività alternative, transessuali e chiunque voglia opporsi alle attuali derive reazionarie dovrebbero avere l’accortezza non di preservare la purezza del loro discorso, quanto di incrementare gli spazi di agibilità e di libertà comuni». Queste in particolare sono parole a cui è difficile prestare ascolto: chissà di che genere è, infatti, l’ego di ognuna e ognuno di noi.