Porpora Marcasciano ci ha insegnato a usare in un certo modo la parola «favoloso» e sarebbe riduttivo pensare che lo abbia semplicemente tradotto per noi dall’inglese fabulous. Quella parola è oggi un prezioso contenitore di complessità, ricchezza, autocoscienza, consapevolezza, autodeterminazione, libertà, sofferenza, fatica, tenerezza, dignità.

PRENDETE CIASCUNO di questi concetti e, come in un teatro della memoria, associatelo a un’immagine struggente, impellente e tanto capace di avvicinarvi da sentirne il calore affinché, favolosamente, non vi possa più uscire dalla mente. Questo è quello che ha fatto Lina Pallotta con le fotografie dedicate alla sua lunga amicizia con Porpora. Si intitola così, infatti, la mostra presso Officine fotografiche a Roma (fino al 7 dicembre). Un legame antico e profondo tra Pallotta e Marcasciano che risale al ’77 e che le foto in mostra raccontano in un frammento che raccoglie gli anni ’90 vissuti tra l’Italia e New York.
Un dialogo che si allarga, anche nella forma che il focus assume nelle fotografie, per mantenere intatta la complicità, la reciproca comprensione, la distanza accorciata, ma al tempo stesso per impedire la messa in scena di una sofferenza solo individuale che oggi è il modello dominante nella rappresentazione delle relazioni sociali, che fa cadere il riconoscimento in ciò che si guarda e lascia solo gratificazione estetizzante e disincantata. Modello che tende a depotenziare del suo valore ideologico l’immagine e che le protagoniste di questa mostra azzerano.

La vita di Porpora, lo sguardo di Lina appartengono certo a loro, ma intendono essere anche vita e sguardo collettivi, un diario che diventa narrazione di un mondo che può vivere per scelta al margine, ma che trasforma quel margine non in relegazione ma in tutto quanto si può considerare in più rispetto a un limite che si intende sorpassare e far sorpassare anche alla storia. Roman Jakobson, nell’omaggio a Majakovskij, scriveva che i suoi versi erano un costante rovello su due motivi: il tormento nell’angustia del limite e la volontà di superare i confini e le imposizioni della vita quotidiana.

E PROPRIO DA QUI NASCE l’intima unità tra la poesia di Majakovskij e il tema della rivoluzione. Ecco, anche questa nostra è una generazione che ha dissipato i propri poeti e le proprie rivoluzioni. Le fotografie di Pallotta non consentono che il rovello di Porpora finisca «attaccato con uno spillo al passato» affinché «ancora più deserta, derelitta e desolata diventa questa generazione, nullatenente nel più autentico senso della parola»