Alzi la mano chi, avendo almeno quattro decenni di primavere sulla schiena, non ha mai canticchiato una canzone dello Zecchino d’oro, quelle «classiche», quando il mago Zurlì prendeva in giro con dolce ironia (e in anticipo storico sull’oggi) il ruolo di presentatore e il meccanismo dello star system, sé stesso e tutto il côté da «festival». Tutto, tranne i bimbi e le canzoni. Guardato con affettuosa preoccupazione da Mariele Ventre, direttrice del coro dell’Antoniano. Alzi l’altra mano chi, avendo ascoltato qualche disco di jazz nella propria vita, o magari avendolo praticato con uno strumento, non abbia scoperto il segreto di Pulcinella che fu anche, per dire, di Louis Armstrong e di Miles Davis: che in jazz si può mettere qualsiasi cosa.

PERCHÉ sta nella stessa grammatica e sintassi delle ormai svariate declinazioni afroamericane della musica poter affrontare qualsiasi materiale di partenza. Restituendolo al contempo trasformato e ben riconoscibile da chi conosce la versione originale. Adesso si saldano le due cose, e le mani bisogna alzarle tutte e due a impostare un bell’applauso, perché per la prima volta le canzoni «storiche» dello Zecchino d’oro diventano un affettuoso, palpitante, imprevedibile disco di jazz. In parte anche «Made in Sardegna», oltre che in Bologna, perché nell’Isola ha sede la Tŭk, quell’etichetta – fucina di talenti che è uno dei molti colpi piazzati (bene) dal signor Paolo Fresu, sessantenne col piglio creativo e le energie di chi ha la metà dei suoi anni. Proprio al trombettista – folletto di Berchidda è venuta l’idea di mettere in jazz le canzoni dello Zecchino d’oro: mettendosi accanto solisti eccellenti come Cristiano Arcelli, Dino Rubino, Marco Bardoscia, il duttile Quartetto Alborada che da sempre veste di eleganti tappeti d’archi le sue avventure e, soprattutto, la vocalist Cristina Zavalloni.

CHE IN GENERE associamo al jazz di ricerca e alle note contemporanee, ma anche qui c’è una piccola rivelazione: il padre di Cristina, Paolo, per tre lustri è stato il direttore artistico dell’Antoniano di Bologna, quando la vocalist era già adolescente, ritrovandosi poi solista delle Verdi Note, la compagine di ex bimbi del Piccolo Coro. Pane, musica e canzoni dello Zecchino, in casa Zavalloni. C’è solo da immaginare la gioia e lo stupore di Zavalloni quando, trent’anni dopo, arriva la proposta di Paolo Fresu: «facciamo insieme un omaggio allo Zecchino d’oro». Detto fatto. Registrazioni tra il 15 e il 17 marzo di quest’anno a Bologna, master nello studio top di Stefano Amerio nell’udinese, copertina con deliziosi disegni a matita colorati di Lorenzo Mattotti. Con Quarantaquattro gatti, Volevo un gatto nero, Il pulcino ballerino, Il pinguino Belisario,la Lettera a Pinocchio, Il caffè della Peppina, e via citando, fin ad arrivare, naturalmente, alla canzone che intitola il tutto, con tanto di punto esclamativo: Popoff!. Zecchini d’oro puro. E di jazz.