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Pontiggia, sorprese dell’antitesi

Inseguire la meraviglia, in letteratura, è un comandamento di dubbia reputazione. Richiama eccessi barocchi, frana di immagini a rotta di collo, esubero di artifici che straripano in arbitrio. Sostituire la […]

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 12 febbraio 2017

Inseguire la meraviglia, in letteratura, è un comandamento di dubbia reputazione. Richiama eccessi barocchi, frana di immagini a rotta di collo, esubero di artifici che straripano in arbitrio. Sostituire la novità con la perpetua sorpresa pare un mezzo di piccola bottega. Eppure. La svolta inattesa di una frase, l’accostamento di parole che risveglia l’attenzione assopita sono ingredienti che accendono la pagina e, nelle mani di uno scrittore avvertito, ben si combinano col rigore, con la pulizia formale, con la pratica della sottrazione giudiziosa. Più di altri, Giuseppe Pontiggia ha saputo dosare precisione e accensioni, controllo e sorpresa. Romanziere autoconsapevole, che ha riflettuto non occasionalmente sul mestiere di scrivere, Pontiggia ha affiancato, lungo tutta la sua carriera, produzione narrativa e saggistica; ed è, tra gli autori del secondo Novecento, un atticista, attratto non dalle costrizioni dell’obscuritas, ma dagli spazi infiniti dell’economia linguistica. La sua limpidezza non rinuncia a una sofisticata cura formale, è piuttosto invenzione di un sistema stilisticamente omogeneo entro il quale variazioni calibratissime assumano il massimo risalto. Tra queste, gli accostamenti inattesi, spesso fondati sull’ossimoro, sono un segno distintivo. Quando professa la sua fede «nella potenzialità enigmatica di un linguaggio chiaro» Pontiggia non si limita a incidere una dichiarazione di poetica miniaturizzata e memorabile; ma mette in opera una versione radicalmente antibarocca del comandamento della meraviglia; e la affida a una figura di opposizione che non ingioiella, ma potenzia il senso. Le sorprese dell’antitesi scattano tra nome e aggettivo (attenzione ipnotica, delicata ferocia); tra nome e nome (disperazione positiva, speranza angosciata); tra aggettivo e avverbio (intensamente inespressiva). Il gioco combinatorio punta a scardinare le combinazioni consolidate, o stremate, dall’uso, a disaggregare gli accostamenti preferenziali, a immettere, infine, nuova energia nei rapporti tra parole che, grazie a quelli che Manzoni definiva «accozzi inusitati di vocaboli usitati», guadagnano vita e colore. Il risalto è assicurato da una tavolozza stilistica avversa ai picchi espressivi: come quelle signore eleganti che accompagnano a ogni toilette un solo, importante, gioiello, Pontiggia garantisce risalto ai punti di forza della sua scrittura creando attorno a loro un ambiente stilistico che ne assicuri l’evidenza, e l’impatto.

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