I controlli sulle pile? Fatti con i binocoli. Il monitoraggio tramite sensori? Tranciato nel 2016 e mai sostituito. E «tra l’inaugurazione del 1967 e il 14 agosto 2018 non è stato eseguito il benché minimo intervento manutentivo di rinforzo sugli stralli della pila 9». Quella venuta giù insieme al ponte Morandi, provocando la morte di 43 persone e danni incalcolabili per Genova e il Nord Ovest. Eppure il rischio crollo Aspi lo aveva messo in conto. Tanto da «elevare il massimale assicurativo relativo al viadotto Polcevera, dal 2016, da 100 a 300 milioni di euro».

Negli avvisi di conclusione indagini formalizzati dalla procura di Genova a 69 tra tecnici e dirigenti di Autostrade – tra cui l’ex ad Castellucci – e della controllata Spea (ma Anas, provveditorati alle opere pubbliche e consulenti del ministero dei Trasporti) accuse pesantissime corrispondenti a un lungo elenco di reati: disastro colposo, falso materiale, ideologico e in documenti informatici, crollo doloso, attentato alla sicurezza dei trasporti, omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, omicidio colposo, lesioni personali colpose e omicidio stradale. Quest’ultimo capo d’imputazione potrebbe essere la chiave per far scattare le pene più alte previste e per allontanare le ipotesi di prescrizione.

«Quello che non vogliamo è che finisca come per Viareggio, sappiamo quali sono i tempi della giustizia italiana», dice Egle Possetti, presidente del Comitato Ricordo vittime del Morandi. «Non è stato perso nemmeno un giorno» ha risposto il capo della procura genovese Francesco Cozzi.

Tra le ipotesi più pesanti emerse dalle carte quelle sugli interventi omessi. «Dopo che era stata casualmente accertata nel 1991 l’esistenza di gravissimi fenomeni di corrosione nei cavi degli stralli (delle pile 10 e 11), in una sola occasione, nell’ottobre 2015, erano state eseguite osservazioni dirette e ravvicinate» anche sulla pila 9. «Le ispezioni visive degli stralli venivano sistematicamente eseguite dal basso, mediante binocoli o cannocchiali, anziché essere ravvicinate».

Diverse relazioni evidenziarono segnali d’allarme. Ma Aspi non fece nulla e, come noto, il progetto di retrofitting in programma dal 2017 non ebbe il tempo di partire. Il rischio di crollo finché non fosse completato quell’intervento era considerato tale che la concessionaria aveva, nel catalogo dei rischi operativi relativo al 2013, inserito la possibilità di triplicare il massimale assicurativo.

Procura durissima anche con la società: i pm hanno evidenziato il rapporto tra i costi per la manutenzione del viadotto Polcevera (tra il 1982 e il crollo, 24,5 milioni euro di cui il 98% a carico dello Stato). Eppure Autostrade «aveva chiuso tutti i bilanci dal 1999 al 2005 in forte attivo e, tra il 2006 e il 2017, l’ammontare degli utili conseguiti ha variato tra un minimo di 586 e un massimo di 969 milioni di euro circa, utili distribuiti agli azionisti in una percentuale media attorno all’80%». Adesso, come ha ricordato il procuratore Cozzi «si apre la fase in cui le difese potranno spiegare le proprie ragioni».