Piove e Pompei si sfalda nonostante le promesse degli ultimi governi. A marzo 2012 il tecnico Mario Monti vara il progetto Grande Pompei da 105 milioni di euro da spendere entro il 2015 per 39 cantieri. Ad agosto 2013 il ministro larghe intese Massimo Bray presenta il decreto Valore cultura con nuove norme di indirizzo per il sito: creazione dell’Unità Grande Pompei affidata a un direttore generale per coordinare l’intervento negli scavi ma anche nei siti di Torre Annunziata, Ercolano e Oplonti. Risultato: solo 3 cantieri operativi e 2 in fase di allestimento su 5 gare assegnate con ribassi fino al 57%; altri 3 bandi da aggiudicare entro metà dicembre (base d’asta 16,5 milioni); 2 crolli in una settimana. Il 24 novembre sono venuti giù gli stucchi della Casa del Torello e si sono aperti squarci nelle mura delle Terme centrali. Domenica scorsa cedimenti al muro di una bottega in via Stabiana e in parte dell’intonaco della Casa della Fontana piccola. La manutenzione ordinaria, ora che il personale è andato in pensione e non è stato sostituito, non può più essere fatta (secondo la Cisl in servizio ci sarebbero 3 operai), né sono previste assunzioni.

L’ex ministro Sandro Bondi, quello che affidò Pompei alla Protezione civile e al manager di Mac Donald Mario Resca, ieri invocava vendetta per aver dovuto subire l’umiliazione di una richiesta di sfiducia individuale quando il sito continua a cedere. E Bray via twitter: «Da metà dicembre, inizieranno i lavori di messa in sicurezza e valorizzazione, grazie ai bandi già partiti e in assegnazione. Entro il 9 dicembre nomineremo il direttore generale». I nomi su cui ministro, ministero e premier Enrico Letta litigano da agosto sono saliti a quattro: Gino Famiglietti, ex dg dei Beni culturali del Molise; il segretario generale del Mibac Antonia Pasqua Recchia; Giuseppe Scognamiglio, responsabile Pubblic affairs di Unicredit, molto amico del premier Letta; Giuliano Volpe, coordinatore scientifico della Carta dei Beni Culturali della regione Puglia e vicino al governatore Vendola. I prossimi cantieri annunciati dal ministro riguarderanno la messa in sicurezza delle Regiones VII (cioè quella interessata dagli ultimi crolli), VI e VIII. «Tale annuncio – ribatte Antonio Irlando, dell’Osservatorio Patrimonio Culturale – equivale ad ammettere che lavori urgenti vedranno l’avvio con oltre un anno di ritardo rispetto alla partenza del primo cantiere del Grande Progetto Pompei».

«È tutto arenato in attesa della nomina del direttore generale – spiega Gaetano Placido, Fp Cgil di Napoli – ma quello che serve è il personale. Mancano manutentori, restauratori, gli addetti alla vigilanza sono pochi e con un’età media alta. Invece dal ministero hanno promesso entro dicembre un bando per la bellezza di 19 addetti alla vigilanza più 5 unità da dividere tra tutti i poli museali campani.

Negli uffici della soprintendenza di Pompei ci piove, ma non vengono rese operative le palazzine già ultimate. Vorremmo anche avere un nuovo incontro sugli edifici all’interno degli scavi costruiti con amianto: la magistratura ha chiuso il fascicolo, ma i lavoratori non sono tranquilli». Qual è l’impatto dei 2,3 milioni impiegati nei 5 cantieri aperti? «Grazie al massimo ribasso, sono stati contrattualizzati meno di 20 lavoratori – spiega Giovanni Sannino della Fillea Cgil -, alla cassa edile la ditta Perillo che si è aggiudicata le opere ne ha dichiarati 14. Non ci sentiamo tranquilli per la qualità e regolarità del lavoro o per la sicurezza, soprattutto rispetto all’uso dei materiali e dei solventi. I sindacati poi avrebbero dovuto contribuire a monitorare i flussi occupazionali ma la prefettura ha riunito il tavolo una volta sola in due anni, la scorsa settimana».