Nel 1988, decisa a produrre quella che sarebbe diventata la sua prima serie originale, la rete via cavo HBO propose a Garry Trudeau l’idea di veicolare lo spirito affilato, da addetto ai lavori, di marca chiaramente liberal, della sua popolarissima striscia fumetto Doonesbury (varata nel 1970 su una rivista universitaria di Yale è «sindacata» ancor oggi su 1400 testate in tutto il mondo) in una sitcom abientata sullo sfondo della politica Usa. «Solo che coinvolgiamo Robert Altman», fu la risposta di Trudeau. Dall’unione tra l’umorista e il regista di Nashville nacque uno degli oggetti più rivoluzionari della recente storia televisiva Usa, Tanner 88, e il modello indiscusso per tutte le serie contemporanee ambientate nei corridoi del potere di Washington.

Il concetto era semplice e radicale allo stesso tempo: inserire un candidato fittizio (interpretato dall’abituale collaboratore di Altman Michael Murphy) nella corsa per le primarie democratiche di quell’anno. E riprendere quello che succedeva -con Trudeau che scriveva gli episodi in corsa, parallelamente all’evoluzione della campagna, e Altman –troupe piccolissima e solo una manciata di attori che apparivano regolarmente nella trama fiction- che li girava mano a mano, seguendone le tappe.
Venticinque anni dopo, un’altra outlet emergente, desiderosa di imporsi nella produzione di contenuti originali, si è rivolta a Trudeau chiedendogli una serie. Il committente è Amazon.com, il gigante delle vendite online che, come Netflix (dietro alle serie House of Cards, Orange is the New Black, Arrested Development…), ha deciso di investire nella fiction da piccolo schermo.
Alpha House, scritta e prodotta da Garry Trudeau, e di cui Amazon ha già messo online le prime quattro puntate, è un prodotto decisamente più tradizionale di Tanner 88, una sitcom «chiusa», senza interferenze documentarie, con attori noti in tv come John Goodman, Matt Malloy e Clark Johnson, e un magnifico cameo di Bill Murray nell’episodio pilota.

Ma è altrettanto immersa nella politica contemporanea.
Rispetto a Tanner, i suoi protagonisti hanno però cambiato segno: alle fine degli anni ottanta era interessante raccontare la crisi del partito democratico, oggi «la storia» è quello che sta succedendo tra le file dei repubblicani, ha detto Trudeau in numerose interviste. Gil John Biggs (Goodman), Robert Bettencourt (Johnson) e Louis Laffer (Malloy) sono senatori che vivono insieme in una townhouse washingtoniana. Tutti e tre sono molto preoccupati delle prossime primarie. Biggs, una vecchia volpe del North Carolina, serenamente calcificato nel suo seggio dalla routine della macchina politica e dal cinismo, ha come avversario un allenatore sportivo adorato dai residenti del suo stato. Quindi deve darsi una mossa. Bettencourt, un pragmatico donnaiolo della Pennsylvania che intesse loschi affari con i mercenari, è insidiato da un’inchiesta su possibili infrazioni etiche. Dal Nevada, è in arrivo per il dolce/ timido Malloy un machissimo sfidante del Tea Party, che il presentatore Steve Colbert (nella parte di se stesso) paragona al prodotto di un amplesso tra John Wayne e Arnold Schwarzenegger.

All’atmosfera da dormitorio universitario dell’abitazione si aggiunge la giovane promessa del partito Andy Guzman (Mark Consuelos), uno squalo sorridente, che cova ambizioni presidenziali ed è chiaramente ispirato all’attuale senatore della Florida Mark Rubio.
Rituali domestici e capitolini a parte, e con l’aggiunta di qualche frontale con reppresentati del partito opposto (Cynthia Nixon, una delle protagoniste di Tanner ’88 qui è una senatrice democratica) le prime puntate della serie riguardano un viaggio in Afghanistan dove i quattro vanno in delegazione per rispettivi interessi personali che non hanno nulla a che vedere con il benessere delle truppe. E dove niente andrà come previsto.

Attori di grande qualità, trama che riffa con l’attualità, una laconicità dello humor che ricorda molto quella di Doonesbury, Alpha House è chiaramente il prodotto di una creatività da insider – spietato ma anche indulgente con il suo soggetto. Un politics as usual, spesso divertente, molto intelligente ma, almeno per ora un po’ banale – privo com’è della forza d’urto della sovrapposizione di doc e fiction di Altman, della dinamica visiva e dell’idealismo di The West Wing, della cupissima, ipnotica, qualità shakespeariana di House Of Cards o delle incredibili iperboli soap-operatiche che sta raggiungendo Scandal.

Il panorama delle serie politiche Usa è al momento così affollato che è decisamente troppo presto per ipotizzare come Alpha House potrebbe evolversi, o quale sarà la sua fortuna d’ascolto (diversamente dalla serie Netflix, che appaiono online tutte in una volta, Amazon posta i suoi episodi uno alla settimana, quindi l’effetto binge è minore).
Ma, va notato, l’appetito per il nuovo lavoro di Trudeau era garantito fin dall’inizio: Alpha House non è infatti stata messa in produzione a occhi chiusi, ma solo dopo che il suo pilota è stato scelto (insieme a quello di un’altra serie chiamata Betas, ambientata tra i nerds di una start up company di Silicon Valley) dal pubblico su sei possibili progetti analoghi che Amazon aveva postato online la primavera scorsa. In un certo senso, gli spettatori hanno già dato il loro verdetto.