Riprendiamo il filo sul reddito minimo garantito. Il governo non ha mai inteso istituirlo, se non nella forma di reddito minimo di inserimento previsto nel Sostegno di inclusione attiva (Sia), 400 euro al mese alle famiglie sotto la soglia di povertà assoluta. Il guaio per il governo, e per il vice-ministro all’Economia Stefano Fassina, è che il non certo pingue finanziamento del Sia per 120 milioni di euro in tre anni (inizialmente erano previsti 1,5 miliardi), è stato salutato da tutti i media come l’istituzione del «reddito minimo garantito», cioè di una misura di sostegno alla persona disoccupata, inoccupata o precaria. Insomma, tutt’altra cosa. E lì sono iniziati gli equivoci che il 27 novembre l’agenzia Redattore sociale ha provato a chiarire sostenendo che nell’emendamento inserito nel maxiemendamento sul quale il governo ha ottenuto la fiducia al Senato non si parla né di reddito minimo, né del Sia. Si tratterebbe invece di un finanziamento di 120 milioni alla «social card e della sua sperimentazione in 12 città». Nichi Vendola e Sinistra Ecologia e Libertà hanno duramente polemizzato con la «bufala» del governo. «Le risorse individuate vanno ad alimentare il Sia – ha precisato ieri Fassina – il fondo originariamente nato per la social card introdotta dal governo Berlusconi è solo il serbatoio per la raccolta di risorse». Per Fassina l’uso di questo fondo permette di spostare una parte delle risorse per la social card verso il costituendo Sia e i 120 milioni «vanno a integrare le risorse per la sperimentazione del Sia gestito dai comuni, mentre la social card è un istituto Inps. Un passo avanti, seppur insufficiente, che non andrebbe strumentalizzato per fini di battaglia politica» ha polemizzato Fassina con Sel. «Fassina rischia il ridicolo – ha risposto Marco Furfaro di Sel – fino a ieri propagandava lo stanziamento di 40 miseri milioni come l’”introduzione di un reddito minimo di inserimento” per poi essere smentito dal suo stesso collega di governo Giovannini», il quale avrebbe sostenuto che «chi parla dell’arrivo del reddito minimo non ha letto bene i testi in modo coordinato». L’invito a Fassina è «concentrarsi sul reperimento di fondi, ammettendo che si parla di altro rispetto al reddito minimo ma anche di una cifra ridicola rispetto alla povertà». Fassina in aula ha parlato di «reddito minimo di inserimento», e non di «reddito minimo garantito». Vale a dire di una misura già annunciata da Letta nel suo discorso di insediamento. Chiarito l’equivoco, una cosa sembra essere certa: l’Italia resta l’unico paese europeo, insieme alla Grecia, a non disporre di un reddito minimo garantito. A meno che non si faccia una legge, a partire dalle tre proposte alla Camera depositate da Sel, Movimento 5 Stelle o Pd. Ma questa è davvero un’altra storia.