La retrospettiva che la Cinémathèque Française dedica a partire da ieri sera a Roman Polanski era annunciata dalla scorsa primavera, e così la presenza del regista polacco alla serata d’apertura dove ha presentato il suo ultimo film, D’apres une historie vraie. Ma sull’onda lunga del Weinstein-gate – col nome di Polanski che circola tra i papabili per un’eventuale rimozione dai membri dell’Academy come è stato per il produttore investito dallo scandalo – era prevedibile che la retrospettiva sarebbe stata contestata.

Molto di più: una petizione su change.org lanciata da Laure Salmona, e che ha raccolto quasi 28.000 firme, chiedeva la cancellazione dell’evento: «È urgente mobilitarsi per far annullare la retrospettiva: Roman Polanski merita il disonore, non gli onori». Nel vortice delle accuse che si è sollevato in seguito al reportage del «NY Times» sulle molestie di Weinstein è finito infatti anche Polanski: una donna californiana, Marianne Barnard, l’ha accusato di averla violentata nel 1975, quando lei aveva solo dieci anni. Accusa non verificata né probabilmente verificabile a differenza di quella per la quale Polanski ha patteggiato nel 1977 – per poi fuggire dagli Usa – per lo stupro della tredicenne Samantha Geimer.

L’associazione Osez le féminisme ha lanciato un appuntamento per manifestare davanti all’edificio dove il regista ha partecipato alla proiezione del suo nuovo film: «Per noi l’importante è annullare la retrospettiva, ottenere delle scuse dalla Cinémathèque e una presa di coscienza», ha detto Raphaëlle Rémy-Leleu, portavoce del gruppo che ha guidato anche la contestazione alla scelta di Polanski – che si è poi ritirato – per presiedere i Premi César 2017. Un invito raccolto da qualche centinaio di persone che ieri sera hanno manifestato fuori dall’edificio.

Fino ad allora era stato l’uomo a essere messo in discussione – per quanto in un contesto discutibile – ma ecco che adesso l’onta del crimine si riversa sui film – una censura a cui si è opposta la Cinémathèque con un comunicato di mercoledì scorso in cui si chiarisce prima di tutto una cosa: la retrospettiva ci sarà. «Fedele ai suoi valori e alla sua tradizione d’indipendenza, la Cinémathèque non intende sostituirsi alla giustizia. Il suo ruolo di Museo del cinema non consiste nel collocare qualcuno su un qualsiasi piedistallo morale. Chi ci rimprovera questo non ha mai messo piede nelle nostre sale e ignora del tutto la nostra missione di conservazione e trasmissione».

Intervistata prima della manifestazione di protesta da France Info, Laure Salmona (segretaria generale del collettivo femminista contro il cyberbullismo) ha detto di chiedere solo che l’uomo venga separato dall’opera, e che si smetta di «srotolargli davanti dei tappeti rossi», ma di non avere niente contro i suoi film.
Una dichiarazione in netto contrasto con la richiesta di annullamento della retrospettiva sulla petizione che porta la sua firma, dove si accusa anche la Cinémathèque di un cattivo tempismo nell’organizzazione dell’evento che in realtà, come nota il comunicato della stessa Cineteca e la ministra della cultura Françoise Nyssen, era appunto programmato da mesi. «Si tratta di un’opera, non di un uomo, non intendo condannare un’opera», ha aggiunto Nyssen.

«La pretesa di una censura pura e semplice» la chiama il comunicato diramato dalla Cinémathèque e firmato dal presidente Costa-Gavras, i membri del consiglio di amministrazione e il direttore generale Frédéric Bonnaud. «Non abbiamo niente da rispondere a delle persone che esigono che la Cinémathèque abbandoni la sua missione fondamentale: mostrare instancabilmente le opere dei grandi cineasti».