Già solo per il titolo varrebbe la pena di tuffarsi ad Anghiari, tra la piana leonardesca e le suggestioni pierfrancescane, per la cena tipica della Valtiberina tra le cui portate si snoda il racconto Poderi forti. Trovandosi nelle terre che anche hanno ospitato vita e attività di Licio Gelli, nonché l’ascesa e la rovina (per i suoi clienti) di BancaEtruria, ci si potrebbe lecitamente aspettare una visione senza speranza della vita e della società toscana. Invece la serata sarà molto istruttiva, piacevole e ricca, oltre al rinnovato peccato di gola secondo tradizione (info 0575 749279). Perché Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini, alla 21esima a edizione della loro Tovaglia a quadri, sfoderano tutta la sapienza drammaturgica acquisita negli anni, e con grazia e leggerezza, e con l’onestà della prima persona (loro e dei personaggi che si raccontano) provano a ragionare tra una risata e una punta di acidità, su cosa va succedendo in questo cuore d’Italia.

Un territorio che da sempre si è mostrato avanzato e privilegiato: nella natura, nella intraprendenza, nei valori per i quali ha lottato. E che oggi vacilla nelle sue certezze. Per la prima volta dopo 70 anni dall’avvento della costituzione repubblicana, la sinistra ha perso l’amministrazione di Anghiari, così come dalla scorsa consiliatura era accaduto alla contigua Sansepolcro.
Niente di tragico, ovviamente, anche perché le liste civiche che si sono affermate sono abbastanza composite: vi dominano le destre, ma vi sono parecchi transfughi di parte avversa. Qui il Movimento 5 stelle pur avendo avuto un’impennata si è piazzato solo terzo. E in assoluto ha prevalso l’astensione.

La prima domanda che si pone l’antico elettorato di sinistra è dove sia finito quel patrimonio di valori, e di servizi e cultura spesso additati a modello. Sulla magica piazza del Poggiolino, lo slargo tra gli spalti delle mura anghiaresi dove Tovaglia a quadri ogni sera va in scena e in tavola, la sua personificazione è data dal Federale, il burocrate di solida formazione piccista che più volte è stato delegato dalla federazione di Arezzo per «rimettere le cose a posto» e in riga. E che oggi, bloccato in una patologica coazione a ripetere, non può che ribadire slogan e frasi fatte, inesorabilmente rivolte al passato.                                                    

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Così, tra uno scherzo e un sospiro, lo spettacolo tenta con serenità razionale di scoprire le forze in campo, e le loro contraddizioni, senza barare. Perché la grande «modernizzazione» che è partita dalle gloriose lotte contro la mezzadria (in una proprietà terriera feudalmente divisa fino a mezzo secolo fa tra nobili e notabili) si è evoluta fino ad oggi in forme nuove, dove il contadino è divenuto un coltivatore scientifico, che usa strumenti tecnologici e prodotti chimici finalizzati. Con conseguenze dirompenti negli schieramenti della Valtiberina, dove una coltura privilegiata è quella del tabacco. Gli ambientalisti arrivano a posizioni integraliste (irresistibile il Veg & breakfast dove la smania di alimentazione e comportamenti alternativi è di una comicità dirompente, sfidato da una popolana col suo innaffiatoio a stantuffo in spalla, pronta a spargere il suo pesticida), ma dall’altra parte il coltivatore Ermindo ha toni toccanti nel raccontare il valore del suo tabacco bisognoso di moltissime cure, e ripagato pochissimo dalla multinazionale monopolista. Il vecchio Ddt di buona memoria diviene l’esempio classico di un giudizio impossibile: ha fatto molti danni con i veleni che contiene e che ha diffuso, ma nello stesso tempo ha salvato molte vite umane debellando assieme agli insetti nocivi le epidemie mortali che questi inoculavano. Impossibile dare un giudizio assoluto.

La trasformazione di un mondo, e della sua civiltà e della sua cultura, non ha trovato evidentemente né una rotta a quell’equilibrio precario, né una risposta adeguata nella politica, sempre più intenta a far fare affari ai suoi esponenti senza occuparsi dei destini degli altri. E certe riflessioni e certi esempi, portate per evidenti motivi geografici nella lingua e con l’accento del giglio magico fiorentino, arrivano ad assumere, alle orecchie di oggi, toni involontariamente quasi shakespeariani. La catastrofe per fortuna non arriva, almeno sulla scena del Poggiolino. Non perché gli attori d’Anghiari si tirino indietro, magari dopo aver subito nel proprio privato le conseguenze nefaste della crisi che non passa; piuttosto, proprio a rendere la complessità del luogo, e delle scelte che oggi imporrebbe, ci sono le musiche e le canzoni che da temi popolari permettono veri virtuosismi. E non manca lo spiritaccio toscano che fuori di ogni retorica sdrammatizza qualsiasi situazione, riuscendo a trarne aiuto per la soluzione.

Saranno più utili i poteri o i Poderi forti? Se la tecnica compositiva e interpretativa della Tovaglia a quadri è un patrimonio ormai consolidato, questa volta si fa apprezzare ancora di più l’inusuale sincerità, la voglia di mettersi in gioco anche nella condizione spinosa di oggi. E proprio questa capacità di mettere in comune ragionamenti, ricordi, esperienze, e in fondo anche speranze, ne fa un esempio straordinario di teatro nobile e utile. Un «servizio pubblico» di cui si dovrebbe riconoscere legittimità e necessità, per tutti. Si replica fino al 20 agosto.