Per gli apicoltori non c’è proprio pace. Alla morìa delle api a seguito dell’uso indiscriminato di antiparassitari, all’arrivo di nuovi parassiti (Vespa velutina), ai cambiamenti climatici, devono ora fare i conti con i furti. Non si tratta di una piaga relegata in qualche zona d’Italia, ma di un crimine che si sta espandendo in molte regioni. Secondo le stime della Fai (Federazione apicoltori italiani) il fenomeno dei furti di alveari – cioè dell’arnia in legno e la colonia di api in essa contenuta – hanno un’incidenza pari a 1,5% del patrimonio apistico: 22.500 alveari sottratti su un totale di 1.500.000, che è la consistenza del patrimonio apistico nazionale.
Gli apicoltori colpiti sarebbero, sempre secondo la Fai, circa il 2% di quelli censiti a livello nazionale (1.100 su 55.000). I dati sono riferiti al 2018 ed è ancora presto per fare un bilancio dell’annata 2019, ma il fenomeno è in crescita rispetto agli anni passati. Le ultime segnalazioni di furti, in ordine temporale, sono giunte alla Fai da Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Abruzzo, Puglia, Calabria, Sicilia; ma il fenomeno non è concentrato in un punto particolare del territorio nazionale. Solo Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige e Basilicata non sono, per il momento, toccate da questa emergenza.

«Il valore del danno materiale immediato subìto dagli apicoltori», afferma Raffaele Cirone, presidente della Federazione apicoltori italiani, «si può calcolare sui 5-6 milioni di euro; bisogna infatti tener conto del valore di ogni alveare (casetta di legno, con telaini, favi di cera e famiglia di api) che ha un costo medio di mercato pari a 250 euro. Va poi considerato il danno relativo alla mancata produzione di miele, polline, pappa reale, propoli. Per il miele, ad esempio, il furto di un alveare (che rimane attivo da primavera ad autunno inoltrato) vuol dire circa 25-30 chili in meno all’anno», sostiene Cirone, «e quindi una perdita di 250-300 euro per alveare. Nel caso in cui l’apicoltore produca anche polline, l’ulteriore danno subìto sarebbe di altri 250 euro. Andiamo ai totali: la mancata produzione di miele degli alveari rubati vale circa 5 milioni di euro; quella del polline altri 5 milioni di euro. Il totale della mancata produzione apistica, dunque, riferito agli alveari rubati, vale da un minimo di 5 a un massimo di 10 milioni di euro».
Come avvengono i furti? Essendo gli alveari situati in campagna o in zone verdi e comunque in luoghi isolati i malintenzionati hanno vita facile e di molto. In genere giungono con furgoni chiusi sino a ridosso dell’apiario, il luogo in cui sono presenti più alveari, alla sera quando le api sono rientrate e quindi non resta che chiudere gli ingressi di queste casette, caricare il prezioso bottino e trasportarlo. «Chi ruba alveari ha giocoforza il profilo di qualcuno che denota una particolare dimestichezza con questo insetto», precisa Cirone, «e con il suo allevamento». In genere rubano alveari, favi in cera, colonia di api, scorte di miele e polline. Talvolta i furti si concentrano addirittura sui soli telaini e favi contenenti il miele che vengono sottratti per essere avviati alle successive operazioni di estrazione del prodotto. «Chi ruba alveari conosce il valore del capo sottratto che nella gran parte dei casi verrà immediatamente ricettato. Questi furti denotano», ricorda il presidente della Federazione apicoltori italiani, «l’esistenza certa di un mercato nero. Fenomeni reiterati nel tempo, sempre più frequenti e intensi, sono ladri che amano vincere facile, correndo rischi limitati e consapevoli di non poter essere rintracciati facilmente». C’è anche chi sostiene che alcuni degli alveari trafuganti sono poi utilizzati per impollinare i frutteti in altre zone. «Il furto di nuclei e sciami di api, quindi unità produttive più piccole di un alveare, destinati all’impollinazione è una delle segnalazioni ricorrenti che gli apicoltori ci fanno pervenire. Accade anche questo ed è, ancora una volta, una tipologia di furto su commissione», afferma Cirone.

Che fare quindi per proteggere gli alveari dai malintenzionati? Esistono sistemi di videosorveglianza, allarmi passivi e attivi, segnalazioni di posizione satellitare, ma anche specifiche polizze assicurative che indennizzano gli apicoltori del danno subito. «Lo sviluppo di questi strumenti di prevenzione, l’intensificarsi del mercato che ruota attorno a chi produce e commercializza questi prodotti ci dice», aggiunge Cirone, «che il fenomeno dei furti esiste e si moltiplica. Esiste però un’importante accortezza da adottare in merito alla tracciabilità delle api acquistate: chi vende e chi compra deve avere i documenti in regola, le api devono risultare iscritte in anagrafe apistica nazionale, le transazioni commerciali devono avere una provenienza e una destinazione certa e documentata». Da non sottovalutare poi l’opportunità che dinanzi a un furto l’apicoltore si rivolga sempre alle forze dell’ordine per sporgere denuncia.

Non c’è solo un danno economico! «Nessuno considera mai», ribadisce con forza Cirone, «il danno ambientale e il mancato apporto eco-sistemico che un furto di api comporta: le api, infatti, operano un capillare servizio di impollinazione alle colture agrarie e contribuiscono a preservare la ricchezza di biodiversità dei nostri ambienti naturali, rurali, suburbani e urbani. A seguito di un furto, pertanto, si determina sempre un processo di depauperamento e questo, sebbene sia un calcolo complesso, è il peggiore dei soprusi che la collettività possa subire perché equivale a sottrarre un bene che è parte di un ciclo naturale di interesse pubblico».