Triton, la missione europea di controllo delle frontiere destinata a sostituire Mare nostrum è partita come previsto il 1 novembre scorso, ma le navi della Marina militare continuano a operare nel Mediterraneo salvando i migranti e facendosi ancora carico della gran parte degli interventi. Come dimostra la nave San Giusto, che oggi arriverà nel porto di Taranto con a bordo 914 profughi soccorsi nei giorni scorsi. «Noi continuiamo il nostro lavoro come sempre» spiegano negli uffici della Marina militare, anche se ormai i mezzi impegnati sono molti di meno rispetto a solo un mese fa: una nave anfibia, la San Giorgio, e tre pattugliatori che fanno base a Lampedusa.
«Mare nostrum come l’abbiamo conosciuta già non esiste più e contiamo di definire l’operazione di disimpegno entro l’anno», ha spiegato invece ieri il ministro degli Interni Angelino Alfano intervenendo al comitato Schengen, dove ha posto l’accento soprattutto sulla riduzione dei costi che il disimpegno italiano comporta: 3 milioni di euro al mese contro i 9,5 del passato. Ma come il ministro sa bene, non è però solo una questione di soldi. Mare nostrum venne avviata dall’allora governo Letta dopo la strage che il 3 ottobre del 2013 costò la vita a oltre 300 migranti davanti a Lampedusa. Fino al 31 ottobre scorso le navi della Marina militare hanno tratto in salvo 150 mila profughi, sequestrate 8 imbarcazioni e arrestato 728 scafisti. Ma soprattutto si sono spinte fino ai confini con le acque territoriali libiche, riuscendo così a intervenire in tempi rapidissimi nei casi di emergenza. Triton, al contrario, ha come primo scopo il controllo delle frontiere europee e per questo è attestata sulla linea delle 30 miglia dalla costa. Un raggio di azione molto inferiore rispetto a Mare nostrum, che rischia di ritardare notevolmente le operazioni in caso di richieste di aiuto provenienti da qualche carretta del mare carica fino all’inverosimile di profughi e in difficoltà subito dopo essere partita dalla Libia. Certo, non si tratta di un limite invalicabile, come dimostra quanto accaduto tre giorni fa quando la nave Vega, insieme allo Spiga uno dei due pattugliatori con cui l’Italia contribuisce alla missione – si è spinta fino a 105 miglia riuscendo a salvare 208 migranti, tra i quali 50 donne e 47 minori, che si trovavano su un peschereccio. L’aver ridotto l’area di intervento rappresenta comunque un elemento di rischio in più per i migranti.
E non è certo l’unico. Un altro riguarda i mezzi messi a disposizione dai 17 Paesi che partecipano a Triton. Sulla carta si tratta 25 mezzi marittimi, che ruotano a seconda dei turni. Di fatto, però, a essere operativi nello stesso momento sono molti di meno. In queste ore, ad esempio, oltre alla nave Vega – sulla quale si trova anche l’unico elicottero della missione e alcuni fucilieri San Marco per le ispezioni a bordo della navi intercettate – sono operativi altri due pattugliatori, uno portoghese e uno spagnolo, due aerei messi a disposizione da Malta e Finlandia e due gommoni rigidi da utilizzare sotto costa forniti da Malta (insieme a una motovedetta) e Olanda. Mezzi che dalle coste calabresi e siciliane devono arrivare fino a quelle della Sardegna e che chiaramente non sono in grado di intervenire ovunque. Inoltre si tratta spesso di mezzi piccoli, in grado di accogliere al massimo 50-60 persone contro le diverse centinaia ospitate invece da una nave della Marina impegnata fino a due settimane fa con Mare nostrum. Un ultimo problema riguarda infine il budget su cui Triton può contare e che è stato fissato dall’Unione europea in appena 2,9 milioni di euro al mese. Chiaro che con mezzi e fondi così ridotti difficilmente l’opera di soccorso dei migranti potrà essere paragonata a quella messa in atto da Mare nostrum.
Gli scontri avuti nei giorni scorsi nella periferia romana di Tor Sapienza hanno avuto un’eco nell’intervento tenuto da Alfano al comitato Schengen. «Certamente un’equilibrata distribuzione dei migranti resta una priorità che continueremo ad affrontare in maniera condivisa con il sistema delle autonomie locali, evitando sperequazioni che possono finire col gravare eccessivamente su alcuni territori inasprendone le tensioni» ha detto il ministro, che ha ricordato anche come il Sistema protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) abbia raggiunto la capienza di 20.975 posti, di cui 883 destinati a minori non accompagnati. Per quanto riguarda invece le richieste di protezione internazionale, dall’inizio dell’anno a oggi sono state 56.485, delle quali ne sono state esaminate 31.185. Gli status di rifugiato riconosciuti sono stati 3.339 (11%), 6.944 sono state invece le concessioni dello status di protezione sussidiaria (22%), 8.701 i permessi umanitari (28%). 11.196 sono state infine le domande respinte.
Resta da capire adesso cosa accadrà a partire dal primo gennaio prossimo quando, secondo i piani del Viminale, avrà fine anche l’ultima fase di Mare nostrum. Alla Marina non sembrano avere dubbi: «Prima dell’inizio della missione avevamo in corso operazioni di vigilanza e protezione dei pescherecci italiani fino alle acque territoriali della Tunisia», spiegano. «Riprenderemo a fare quello che facevamo, con attenzione anche alle carrette cariche di migranti». Mare nostrum, forse, non finisce qui.