Il politico a cui è andata peggio è sicuramente Massimo D’Alema. Lui in realtà alla manifestazione di Bari non voleva neanche andarci. Ci si è trovato per caso. Doveva partecipare ad un convegno in città e ha deciso di andare a trovare il suo amico Antonio Decaro, ora sindaco moderatamente renziano della città. Uscendo dal municipio però è incappato nel corteo di scioperanti. Che lo hanno subito riconosciuto.

«Vai via!», «Vergogna!», «Venduto!», sono gli unici epiteti riportabili rivolti dai manifestanti all’ex presidente del Consiglio, letteralmente inseguito per centinaia di metri nonostante il riparo della scorta. Lui però non si è scomposto. Si è fermato a stringere la mano ad un passante e si è limitato a stirarsi i baffi mentre lo contestavano.

Quando le acque si sono calmate ha commentato con il solito sarcasmo: «Mi sono infilato in mezzo all’Ugl, non mi ero reso conto precisamente». A chi gli ha fatto notare che c’erano anche alcune bandiere rosse tra i contestatori, D’Alema ha risposto: «La gente è arrabbiata, ce l’ha anche col Partito democratico. Purtroppo è la situazione che stiamo vivendo», nella contestazione «c’era un appello ad agire per cambiare il Pd».

Per concludere con una difesa dei sindacati – «Svolgono un ruolo prezioso e non andrebbero insultati, le manifestazioni sindacali sono è un elemento di tenuta democratica» – e un attacco al Jobs act: «Senza una ripresa sostenuta degli investimenti e una nuova politica industriale non ci sarà una ripresa, la riforma del mercato del lavoro non produce posti di lavoro».

Per il resto di esponenti Pd alle manifestazioni se ne sono visti pochi. A Roma nel retropalco della piccola piazza Santi Apostoli c’erano Stefano Fassina e Vincenzo Vita. «Spero che il segretario del Pd ascolti con grande attenzione la voce della piazza, è l’indicatore chiaro che la rotta va corretta. Spero che nel partito non si guardi solo ai rapporti di forza ma anche alle donne e agli uomini che hanno votato Pd ma che non capiscono e non condividono la linea di politica economica del governo. Spero che Renzi ascolti con grande attenzione perchè questa è l’indicazione chiara del fatto che la rotta va cambiata». «La politica economica del governo va corretta, a cominciare dal lavoro, perchè è iniqua e non funziona ai fini della ripresa», ha dichiarato l’ex viceministro all’Economia del governo Letta. Vincenzo Vita invece sfoggiava una maglietta dei lavoratori in lotta di Cinecittà e ha voluto sottolineare «di non essermi mai perso una manifestazione dei sindacati: qua c’è il nostro popolo».

A Milano invece ha sfilato Pippo Civati per il quale le piazze dello sciopero generale pongono al Pd un «grosso problema di rappresentanza politica». «Dopo aver votato contro il Jobs act, ho partecipato al corteo a Milano: ho passato la giornata a confrontarmi con i lavoratori e discutere con loro», racconta il deputato dem. «Tra i manifestanti c’erano molti elettori del Pd, persone che dicono che non vogliono votarlo più. Da loro ho sentito parole molto dure contro il governo. Ma io vorrei che queste persone venissero alle manifestazioni con noi, non contro di noi».
Assenti invece gli altri esponenti della minoranza che hanno deciso di votare il Jobs act: a partire da Cesare Damiano e Guglielmo Epifani, che invece erano in piazza con la sola Cgil il 25 ottobre.

Tanti invece gli esponenti di Sel e della galassia in ricomposizione della sinistra. «È un grande errore andare contro la piazza che in un Paese sporco è l’unico presidio pulito», ha attaccato Nichi Vendola. «Il governo deve cambiare radicalmente pagina. Ha imboccato una direzione sbagliata e gli ultimi provvedimenti mi danno un senso di amarezza perché sono il segno di politiche conservatrici incapaci di elaborare vere politiche del lavoro», aveva dichiarato durante il corteo. «Siamo con i sindacati, questo sciopero è una ribellione contro l’idea che si possa uscire dalla crisi riducendo i diritti, contro l’idea che si possa produrre più lavoro rendendo il poco lavoro che c’è ancora più precario e prigioniero della paura del sentimento del ricatto. Questa è la battaglia di chi intende presidiare il welfare e lo stato sociale, di chi perde reddito e diritti ma anche qualunque rete di protezione sociale, perché le politiche dell’austerity impoveriscono la qualità complessiva della vita di milioni di famiglie», ha concluso.