«È riconosciuto a livello internazionale che il coinvolgimento dei bambini nelle miniere costituisce una delle peggiori forme di lavoro minorile. Uno sfruttamento che tutti i Governi devono proibire e punire nel rispetto delle convenzioni internazionali», spiega Maria Stefania Cataleta, avvocata per i diritti umani ed attivista di associazioni nazionali ed internazionali come Amnesty International e l’Association Europeenne pour la Défense des Droits de l’Homme.

La legislazione della Repubblica Democratica del Congo non prevede misure a difesa di questi bambini?

Il sistema di ispezione volto a verificare l’impiego di minori nelle miniere è piuttosto scarso. Indagini svolte da Amnesty International hanno evidenziato che gli agenti governativi sono al corrente del lavoro minorile nelle miniere, ma che chiudono un occhio in cambio di tangenti.

Quanto ore al giorno è costretto a lavorare un bambino in una miniera? A quali conseguenza va incontro per la sua salute?

La giornata lavorativa media è di 14 ore, ma molti bambini lavorano anche di più. L’esposizione alle polveri ha notevoli conseguenze dannose per la salute di questi bambini, come malattie polmonari da inalazione di metalli pesanti, dermatiti da contatto o deformazioni muscolo-scheletriche per il sollevamento di pesi dai 20 ai 40 kg.

Se il Governo del Congo non tutela questi minori, non ci sono leggi internazionali che possano obbligare le multinazionali occidentali a farsene carico?

Il lavoro minorile per l’estrazione artigianale del coltan e del cobalto dimostra proprio che vi è una falla nella due diligence policy che le compagnie internazionali devono rispettare nella filiera produttiva e di approvvigionamento del minerale. I Guiding Principles on Business and Human Rights delle Nazioni Unite impongono l’adozione di una certa condotta per garantire il rispetto dei diritti umani e identificare, prevenire e mitigare i rischi legati alla loro violazione. Ma i report di tante Ong hanno dimostrato che le compagnie non si uniformano al rispetto della due diligence policy, sopratutto le compagnie estere presenti nel Congo, che sono al corrente delle condizioni di estrazione in miniere illegali dove vengono impiegati bambini ed i cui proventi contribuiscono a finanziare i gruppi armati che controllano le zone di estrazione.

Cosa dovrebbero fare, ma non fanno, la Repubblica del Congo e le compagnie minerarie straniere?

La Repubblica Democratica del Congo dovrebbe creare più miniere artigianali autorizzate e mettere in regola quelle irregolari, dovrebbe monitorare e proibire l’impiego di bambini nelle miniere, favorendo l’eccesso all’educazione primaria gratuita ed obbligatoria. Dal canto loro, le compagnie dovrebbero rendere pubbliche le due diligence practices adottate, facendosi anche carico di misure riparatorie per le violazioni dei diritti umani occorse nella catena di approvvigionamento dei minerali.

Secondo il diritto internazionale, gli Stati non hanno l’obbligo di perseguire ogni violazione dei diritti umani intervenendo nei confronti delle proprie imprese, anche se queste violazioni sono commesse in altri Paesi?

Sì. Gli Stati dovrebbero adottare e far rispettare le leggi che richiedono alle imprese di conformarsi alla due diligence ed a rendere pubbliche le politiche adottate e le operazioni effettuate nella fornitura di minerali. Tutto questo ancora non si è verificato ed ecco perché 14 famiglie congolesi, lo scorso dicembre, hanno citato in giudizio alcuni colossi del digitale per rispondere della morte e dei danni riportati dai loro figli impiegati nelle miniere da cui si rifornivano.