Sarà per la guerra in Ucraina e l’atlantismo a prova di bomba di Giorgia Meloni, sarà perché la stessa si è dimostrata molto più un freno per le intemperanze sovraniste che non la sovranista descamisada che diceva di essere, ma sta di fatto che con il governo della destra l’Europa già matrigna sembra una fatina buona. Il parere positivo della Commissione sulla quarta rata del Pnrr, arrivato con un po’ di anticipo sul previsto e corredato di complimenti, è un punto segnato dal governo subito dopo quello dell’accettazione da parte della stessa Commissione dell’intero pacchetto di modifiche da apportare al Piano. La premier esulta in videomessaggio: «L’approvazione dimostra i grandi progressi fatti dall’Italia e il grande impegno del governo. L’Italia sarà l’unico Paese ad aver ricevuto la quarta rata quest’anno».

I toni un po’ iperbolici in questi casi sono d’obbligo per chiunque governi ma non è che Bruxelles suoni una musica molto diversa. «L’Italia ha raggiunto un’altra tappa importante nell’attuazione del suo Piano», applaude von der Leyen. «L’Italia ha attuato con successo i 21 traguardi e i 7 obiettivi connessi a questa richiesta di pagamento», festeggia Gentiloni e persino il gelido falco Dombrovskis apprezza «le riforme su appalti pubblici, amministrazione fiscale e giustizia». Se nell’approvazione complessiva delle 145 modifiche al Piano originario erano state poste condizioni precise (l’accelerazione dei processi e delle liberalizzazioni), le 11 revisioni richieste per questa tranche sono state discusse e contrattate, ma poi ammesse senza condizioni esplicite.

Per lo sblocco finale dei 16,5 miliardi della tranche manca ancora il parere del Comitato economico e finanziario, che dovrà arrivare entro un massimo di quattro settimane. La rata arriverà dunque quasi certamente entro il 31 dicembre. La quota dovrà essere spesa quasi a tutto campo, dall’idrogeno verde all’assistenza all’infanzia, dalla mobilità sostenibile all’inclusione sociale, ma l’obiettivo principale sarà la digitalizzazione, in particolare della Pubblica amministrazione, uno dei tasti sui quali Bruxelles batte con più insistenza da sempre.

Il ministro Fitto non si scosta dai toni trionfali della premier, ripresi peraltro da una quantità di esponenti della maggioranza in lieto coro. Il più pacato, come sempre, è il ministro dell’Economia. Compassato, Giorgetti si limita ad assicurare che «la gestione del Pnrr resta tra le priorità del Paese». Se il ministro procede con prudenza rispetto all’enfasi dei colleghi un motivo evidentemente c’è: la trattativa con Bruxelles è stata innegabilmente un successo per il governo, che potrebbe però rovesciarsi in un disastro se non si riuscisse a spendere i fondi in tempo. E il tempo stringe. Tra le righe, tra un complimento e l’altro a se stesso e a tutto il governo, Fitto specifica infatti che le opere andranno completate nella data prevista, il 2026, e non è un particolare. Il gioco dei vasi comunicanti tra vari progetti e fondi serviva proprio a rinviare la scadenza di alcuni progetti che era irrealistico sperare di completare entro la data prevista. In parte la manovra è riuscita e dovrebbero essere così recuperati alcuni dei tagli imposti dal nuovo Piano, come quello che penalizza i posti negli asili nido. In parte, con le 145 modifiche, gli obiettivi sono stati radicalmente rivisti. Ma a questo punto la scadenza per i fondi del Pnrr propriamente detto diventa rigida e ultimativa.
Fitto è anche intervenuto sulla polemica suscitata dalla fine del mercato tutelato dell’energia: «È una norma prevista dalla legge sulla concorrenza del 2022, ci si poteva accorgere allora dei suoi effetti non condivisibili».