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«Plebiscito» per l’accordo. Ma intanto crescono i dubbi tra i No Tav

«Plebiscito» per l’accordo. Ma intanto crescono i dubbi tra i No TavLuigi Di Maio

5 Stelle Sulla piattaforma Rousseau 94% di «si», ma ha votato meno di un terzo degli iscritti

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 19 maggio 2018

Un po’ all’improvviso, come da costume, a poche ore dalla conclusione dei lavori per la scrittura del contratto di governo tra Movimento 5 Stelle e Lega, viene passato al vaglio del voto sulla piattaforma Rousseau. Il risultato non stupisce, come al solito votano in pochi (meno di un terzo degli iscritti) e approvano a larghissima maggioranza le proposte dei vertici. «Hanno votato 44.796 persone, di queste hanno si sono espresse a favore 42.274, più del 94%», comunica Luigi Di Maio in serata.

IL CAPO POLITICO si trova ad Aosta per la campagna elettorale per le regionali. Da qui fin dal mattino, le urne digitali si sono aperte alle 10, sostiene che «nel contratto ci sono tutti i nostri punti del programma». Per convincere i perplessi circola il testo in venti punti che era stato utilizzato prima delle elezioni politiche e che Di Maio considera pienamente rappresentato dal documento scritto assieme alla Lega. Nessun tradimento, insomma. Poi esulta: la legge Fornero diventerà «un brutto ricordo», termineranno gli «affari sporchi sull’immigrazione», le imprese «avranno vita più semplice e tasse più basse».

Tutto ciò precipita sulla piattaforma Rousseau, feticcio delle origini e della democrazia diretta che di recente è tornato nel mirino del garante della privacy, col sospetto che tracci le opinioni espresse da ogni singolo utente nelle diverse consultazioni. «Se voi deciderete che è la strada giusta da percorrere, nonostante quello che dicono tutti i giornaloni italiani e stranieri, nonostante qualche burocrate a Bruxelles, nonostante lo spread, allora come capo politico del M5S firmerò questo contratto per far finalmente partire il governo del cambiamento», annuncia Di Maio.

Nelle stesse ore si discute dei punti più delicati dell’accordo. Mentre i No Tav valsusini ribadiscono che «non esistono governi amici» e si sentono poco garantiti dalla formulazione del contratto, i loro compagni che lottano contro l’Alta velocità del Terzo valico, che dovrebbe condurre da Milano a Genova, si sentono traditi. Cerca di porvi rimedio Andrea Cammalleri, deputato alessandrino: «Il Terzo valico lo fermiamo con l’analisi costi/benefici – risponde agli attivisti che chiedono spiegazioni – Al tavolo c’erano i leghisti e alle loro spalle Liguria e Lombardia».

Il fatto è che qualcuno si accorge che il ricorso all’analisi costi/benefici non pare essere un grimaldello tecnico sufficientemente efficace, visto che il passaggio in cui se ne parla, sottolinea un attivista in polemica con il deputato, «è copiato pari pari dal testo del programma di governo di Salvini, ma neanche ve ne siete accorti». In effetti, il programma della Lega utilizza la stessa formula, oltretutto non riferendosi al blocco dei lavori per la grande opera ma alla rimodulazione del prezzo dei biglietti.

NEL GIRO DI POCHE ORE dai No Tav Terzo valico arriva un comunicato durissimo: « Ci pare fin troppo chiaro – si legge nel testo – che quelli del Movimento 5 Stelle hanno scelto di svendere il nostro territorio pur di andare al governo del paese con un partito razzista».
Laura Castelli, che ha partecipato alla scrittura del contratto, dice che per essere più precisi su tempi e modi bisogna «entrare nei ministeri e vedere se le nostre idee sono strutturalmente realizzabili».

Di Maio minmizza le critiche, dice che quelli che pongono problemi sono dei «rosiconi». «Lavorando con la Lega – racconta – ho trovato fino ad ora lealtà e correttezza, non mi hanno mai chiesto nulla di personale». Quando qualcuno gli chiede se rivedrà di nuovo Matteo Salvini prima di lunedì, lui risponde: «Ormai tra di noi c’è un rapporto smart».

Ad Aosta accanto al capo politico c’era Riccardo Fraccaro, uno dei potabili per la premiership se dovesse passare la linea del «terzo uomo, ma grillino».

SI REGISTRANO MALUMORI sul nome di Vincenzo Spadafora, gran consigliori di Di Maio che ha gestito i passaggi chiave della trattativa sul governo e che ambirebbe a divenire sottosegretario alla presidenza del consiglio. Molti grillini, però, lo considerano il suo pedigree troppo poco pentastellato: «Lui è arrivato ieri – dice un parlamentare – Se entrasse nel governo il M5S esploderebbe nelle mani di Di Maio in un quarto d’ora».

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