Sebbene non avesse mai interrotto il dialogo con il compagno di una vita, il giornalista e scrittore Romulus Rusan, morto nel dicembre del 2016, serviva alla poetessa romena Ana Blandiana la plasticità della scrittura per ritrovare ciò che aveva perduto: la presenza dell’amato. La sua raccolta di versi  Variazioni su un tema dato (traduzione di Bruno Mazzoni, Donzelli pp. 256, € 16,00) è una meditazione sull’amore che ha rinunciato alla fisicità per diventare sentimento in assenza. Separata dal corpo e dallo sguardo, ma non del tutto dissolta finché resiste nel ricordo, la presenza del marito di Ana  non è poi molto diversa da quella  dell’abito di lui dismesso, «gettato lì», «estraneo», senza più alcuna relazione con chi lo aveva indossato. Quel vestito «consunto», svuotato, diventa – nei versi che aprono la raccolta – il sudario che conserva l’assenza di Romulus.

Basta un solo angelo – scrive Blandiana – a custodire gli innamorati; ma quando l’amato muore, venuto meno il legame fra la carne e lo spirito, l’angelo deve scegliere con chi restare. È necessaria una rinuncia, nemmeno il cielo può impedirla, e dunque la scelta cade sullo spirito, che  unisce «molto più del sangue», e quella scelta diventa un atto d’amore obbligato. Per Ana Blandiana il tempo dell’assenza è tempo sospeso di un amore pienamente vissuto: escatologico, compiuto, che porta a perfezionare, con chi si ama, quella unicità creaturale prevista fin «dalla creazione del mondo». L’amore che ancora unisce all’assente si conferma così anticipazione della vita beata, dopo il felice superamento del «giudizio finale».

Variazioni su un tema dato è una conversazione intima che interpella chiunque sullo scandalo del morire. Nei versi di Blandiana c’è la rassicurazione razionale e quotidiana del fatto che non esiste una frontiera reale fra la vita e la morte. Dati alle stampe dall’autrice con iniziale ritrosia, gli intimi monologhi con colui che se n’è andato si sono svolti «al presente», prima di tutto ad alta voce, fra le mura di casa: in cucina, davanti a uno specchio, prima di spegnere la luce del comodino accanto al letto. Fra quelle pareti Ana ha ironicamente immaginato lo sconcerto della polizia segreta se l’avesse ascoltata – come negli anni del regime – attraverso microfoni nascosti. Gli agenti più sprovveduti avrebbero pensato che il silenzio di Romulus fosse sostituito da un codice fatto di gesti mimati; i più informati – scrive Blandiana – avrebbero detto che era matta.

Quello che la poetessa romena ha definito il più metafisico fra i suoi libri è nato in Bucovina, nel monastero ortodosso di Voroneţ, davanti al celeste lapislazzulo dei suoi affreschi, dove spicca la seconda Parusìa con la risurrezione dei morti rianimati dalla tromba dell’angelo. Ma Romulus per Ana è ancora fra i vivi, tanto che la liturgia pasquale, che si rivolge «a quelli delle tombe», le sembra estranea all’amato. Come comprendere il mistero di una presenza nonostante la morte: un «miracolo»? oppure un «semplice sbaglio»? Come nei Vangeli, la certezza di un’apparizione prevale sul dubbio.