L’inquinamento da plastica nei mari sta raggiungendo numeri sempre più allarmanti che non possono lasciare indifferente nessuno, indipendentemente dallo schieramento politico di appartenenza, e su cui la nostra classe politica ha il dovere di intervenire con urgenza. Parliamo di una contaminazione che non solo colpisce gli animali marini più iconici (tartarughe, delfini e balene) ma che è entrata prepotentemente nelle nostre vite. Lo dimostrano le molte ricerche che documentano la presenza di plastica in molte specie che finiscono sulle nostre tavole (triglie, sgombri, cozze e gamberi ad esempio), nel sale da cucina, nell’acqua che beviamo e persino nell’aria che respiriamo. Pur non avendo un quadro esaustivo di natura medico-sanitaria sugli effetti della plastica sull’uomo, non c’è motivo per rischiare che la situazione si aggravi ulteriormente.

Cosa può fare la politica per evitarlo?

Tanto per cominciare è necessario recepire nella legge nazionale “Salvamare”, il cui approdo in Consiglio dei Ministri è stato più volte annunciato come imminente dal Ministro Costa, quanto definito nella recente direttiva europea sulla plastica monouso, introducendo bandi per alcuni oggetti difficilmente riciclabili (piatti, posate e cannucce).

Non solo, per rendere la legislazione italiana più efficiente è necessario adottare ulteriori provvedimenti sul monouso (packaging e imballaggi): incentivare il solo riciclo non è sufficiente. Sostituire, inoltre, la plastica tradizionale con materiali che possono avere impatti ambientali non meno rilevanti come le plastiche biodegradabili e compostabili, spesso invocate come la panacea di tutti i mali, non è la soluzione. Si tratta di materiali che, pur avendo un minor impatto ambientale, possono essere costituiti da una frazione derivante dal petrolio e, se immessi in mare, possono produrre gli stessi effetti negativi dello scorretto smaltimento delle plastiche tradizionali.

Altri possibili interventi? Vietare l’immissione in commercio di imballaggi non riciclabili e la produzione e l’utilizzo di plastiche particolarmente problematiche come il polistirolo o alcuni oggetti utilizzati nel settore della pesca (cassette in polistirolo e le reti degli allevamenti di cozze). Inoltre, sono urgenti interventi legislativi che riducano il packaging alimentare immesso al consumo, a favore di sistemi alternativi basati sullo sfuso o su contenitori riutilizzabili inserendo anche incentivi fiscali, come lo sconto sulla TARI, per i cittadini che scelgono prodotti senza imballaggi.

Infine, servono meccanismi stringenti di responsabilità estesa del produttore nei confronti di tutte le grandi aziende degli alimenti e delle bevande che, spingendo l’acceleratore su una cultura basata sull’usa e getta, continuano a fare enormi profitti abusando della plastica monouso e costringendo noi consumatori ad utilizzarla. Sono proprio queste aziende che, pur essendo la vera forza che ha determinato la crisi ambientale ormai sotto gli occhi di tutti, continuano a non assumersi alcuna responsabilità e non cercare alcuna soluzione risolutiva.

Solo se il Ministro Costa e il governo decideranno di non difendere gli interessi industriali ed economici delle grandi multinazionali riusciremo a salvare i nostri mari.

* Giuseppe Ungherese, responsabile Campagna Inquinamento Greenpeace Italia