Una colazione di lavoro per mettere a punto il destino della legge di stabilità, così come dovrebbe (il condizionale è d’obbligo, viste le continue fibrillazioni nella maggioranza e nei suoi maggiori partiti) proseguire nel suo iter in Parlamento. Hanno partecipato il premier Enrico Letta, i ministri Angelino Alfano, Fabrizio Saccomanni, Dario Franceschini: si è parlato prima di tutto di privatizzazioni, confermando che l’intenzione del governo è quella di dismettere il più possibile (tra partecipazioni e immobili) per abbattere il debito. Ma per il momento non sembra decollare l’ipotesi di una vendita di un pezzo di Rai, vista la levata di scudi, ieri, dal fronte dei partiti e dei sindacati.

Nel piatto, però, rimangono «gioielli» di Stato come Eni, Terna, Finmeccanica, tutte società ricche e che fanno utili e di cui comunque l’esecutivo non sembra voler cedere il controllo: aumentando sì la parte disponibile sul mercato e in borsa, ma conservando per sé una golden share. Il piano delle privatizzazioni, cui sta lavorando un’apposita commissione incaricata dal governo, arriverà entro fine anno, per poter procedere alle cessioni (nutrito ad esempio il capitolo caserme) già a partire dal 2014.

Altro argomento affrontato: il cuneo fiscale. Quella che dovrebbe essere (o meglio, che avrebbe dovuto essere) la carta per migliorare il consenso soprattutto dal fronte delle parti sociali, continua a essere invece uno dei nodi più aspramente contestati da parte delle imprese e dei sindacati.

Cgil, Cisl e Uil ieri hanno infatti confermato lo sciopero indetto per 4 ore, da effettuare entro metà novembre, perché – come ha spiegato la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso – «non ci sono nuovi elementi che ci possano portare per ora a cambiare opinione_ anzi, continueremo a fare pressione sul Parlamento». È noto che per i sindacati la cifra stanziata per il cuneo resta «inadeguata» (il concetto è stato ribadito ieri) e a nulla è servita la decisione presa ieri alla colazione di Palazzo Chigi, di delegare al Parlamento la ripartizione dei fondi (scegliere cioè gli scaglioni di riferimento, sul reddito e altri parametri, per stabilire chi in effetti ne potrà usufruire e in che misura). «Troviamo poco cortese che il governo abbia detto che devono essere le parti e il Parlamento a decidere come distribuire le risorse, salvo poi fare un ddl che descrive centesimo per centesimo come debbono essere fatte le detrazioni», ha commentato Susanna Camusso.

D’altronde uno dei nodi di maggior frizione da parte dei sindacati resta quello del blocco dei contratti del pubblico impiego, già fermi dal 2010 e congelati adesso fino a fine 2014 (cioè, in totale, 5 anni). Un non adeguamento all’inflazione che ha impoverito i lavoratori pubblici, e gli stessi insegnanti, che su questo tema e contro i tagli all’istruzione, hanno deciso di manifestare il 30 novembre, non escludendo ovviamente di continuare poi con uno sciopero (a parte quello generale di 4 ore, che ovviamente faranno anche loro). Secondo Camusso, le risorse per riequilibrare la manovra a favore del lavoro si possono trovare «aumentando la tassazione sulle rendite finanziarie» o «introducendo una patrimoniale», o anche «tassando i giochi online» che valgono «lo 0,6% su un imponibile di 18 miliardi».

Nel Pdl intanto resta in primo piano il nodo casa: soprattutto nel fronte dei «falchi» brucia il fatto che l’Imu non sia stato cancellato, ma che al contrario sia stato sostituito da una nuova tassazione, più ambigua e in alcuni casi addirittura più cara. Il capogruppo Renato Brunetta, a parte l’affermazione (divisiva anche nel suo partito) di essere d’accordo con una «privatizzazione graduale della Rai» (Maurizio Gasparri ad esempio si è detto contrario), è tornato sulla casa: «Ridateci l’Imu di Monti – ha detto – o usciamo dal governo: nel 2013 se verrà cancellata la seconda rata pagheremo 20. Con la service tax di Letta rischiamo di pagare 30».

Deluse anche Ance Confindustria e Confedilizia: «Nel 2014 le risorse per le infrastrutture sono minori del 14,8% rispetto al 2013, un’inversione di tendenza rispetto all’aumento avviato lo scorso anno, pari al 23,4%», quantifica l’Ance, secondo cui con la Trise, sono penalizzate «sia le prime che le seconde case, con un aumento delle tasse fino al +72%». Per Confedilizia nel 2014 si avrà un maggior gettito dalle tasse sulla casa pari a «10 miliardi in più rispetto al 2013».