Più truppe a Washington, sempre meno a Kabul. Mentre nella capitale Usa continuano ad arrivare i soldati per proteggere l’insediamento del presidente Joe Biden, i soldati americani vengono ritirati dall’Afghanistan, come promesso dal presidente uscente Trump.

Ieri il segretario in carica della Difesa, Christopher Miller, ha annunciato infatti che le truppe nel Paese centroasiatico sono state ridotte a 2.500, come già anticipato dallo stesso Miller nel novembre scorso. «È il livello più basso dal 2001», sottolinea Miller, per il quale la riduzione delle truppe avvicina gli Usa come mai prima «a concludere circa due decenni di guerra», grazie a «un processo di pace guidato dagli afghani per una soluzione politica e un cessate il fuoco generale».

Quello afghano è uno dei dossier che Trump intende ancora capitalizzare simbolicamente. La guerra è finita davvero, ma solo quella tra americani e Talebani, i quali dal febbraio 2020 evitano di uccidersi a vicenda, tranne rare eccezioni. La soluzione politica e il cessate il fuoco sono invece ancora lontani. Talebani e fronte governativo di Kabul si parlano ufficialmente dallo scorso settembre, tramite le rispettive delegazioni spedite a Doha e sollecitate dall’inviato di Trump, Zalmay Khalilzad, ma i due fronti aspettano di capire cosa farà l’amministrazione Biden, prima di assumere decisioni importanti. Per ora hanno trovato l’accordo sul «come del negoziato», non sul «cosa».

Quell’agenda che invece Trump vorrebbe fosse chiusa nei prossimi 4 giorni, così da poter dire: le nostre truppe sono a casa, gli afghani si accordano: missione compiuta. Trump lascia in eredità a Biden un contingente militare ridotto e due accordi politici firmati lo stesso giorno, il 29 febbraio 2020, uno a Doha con i Talebani, l’altro a Kabul con il governo afghano. Il primo legittima politicamente i Talebani e gli concede molto. Il secondo serve a rassicurare Kabul, senza garantire nulla. Per il segretario Miller, il dipartimento alla Difesa continua a pianificare il ritiro completo entro l’1 maggio 2021, come previsto dall’accordo tra Washington e Kabul, ma «ogni riduzione rimane vincolata alle condizioni» sul terreno.

È uno dei nodi che dovrà sciogliere Biden. Dopo quasi 20 anni di presenza militare, al Pentagono, alla Difesa e al Congresso Usa c’è ancora chi frena sul ritiro, che «deve essere responsabile e non affrettato». Qualcuno azzarda perfino l’ipotesi di invertire il corso dettato da Trump, rafforzando nuovamente il contingente militare Usa. Altri, anche a Kabul, temono invece che, senza i soldati americani, i Talebani potrebbero far saltare il banco diplomatico e dare la spallata al governo. Per ora c’è lo stallo diplomatico. Tutti ad aspettare Biden. Difficile che il nuovo presidente rovesci il tavolo del gioco, che rompa l’accordo Usa-Talebani o forzi la mano su una presenza residuale di uomini del controterrorismo. Ma potrebbe posticipare di 6 mesi il ritiro completo, chiedere di più ai Talebani, rafforzare il consenso regionale, aiutare il governo di Kabul a uscire dall’angolo in cui l’ha ficcato Trump.