Di documentari sulla più grande acciaieria d’Europa, l’ex-Ilva di Taranto, negli anni ne sono stati girati tanti. A novembre anche il servizio pubblico ha scelto di lanciare un lavoro filmico di inchiesta: Ilva. A denti stretti di Stefano Maria Bianchi, andato in onda su Rai2. Qualche mese prima nel capoluogo ionico c’è stata la proiezione in anteprima nazionale di Mittal, la faccia nascosta dell’impero del regista francese Jerome Fritel.

AL FITTO MOSAICO DI INFORMAZIONI, che hanno concorso a tessere un quadro incontrovertibile sul disastro sanitario e ambientale causato dall’industria siderurgica in Puglia e in altre parti del globo, si va a sommare un lavoro di straordinaria fattura. Si intitola Più forti dell’acciaio.

Il film di Chiara Sambuchi è stato commissionato dall’organizzazione non governativa Mani Tese, impegnata per la giustizia sociale, economica e ambientale nel mondo. Il documentario rientra nel progetto New business for good ed è stato realizzato con il contributo dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo. L’obiettivo è di innescare un dibattito pubblico sulla necessità di avviare una concreta transizione industriale, volta a contribuire alle sfide imposte dall’emergenza climatica e alla realizzazione degli obiettivi sostenibili fissati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.

Dopo la prima a Milano il 18 dicembre e la successiva tappa tarantina, Più forti dell’acciaio è stato proiettato sabato 25 gennaio a Bari in occasione della commemorazione della nascita dell’ex sindaco di Molfetta e assessore della Regione Puglia, Guglielmo Minervini, organizzata dalla Fondazione a lui intitolata dopo la morte.

L’EX-ILVA PER I PUGLIESI RESTA UN TEMA ostico, in cui le posizioni permangono da decenni – nonostante le evidenze scientifiche – polarizzate tra la difesa occupazionale e il disastro sanitario e ambientale. Paradossalmente la proiezione nel capoluogo di regione avrebbe potuto innescare un acceso dissenso, invece, coerentemente con lo stesso pensiero di Minervini – «è disvalore quello che divora il futuro nel presente, il presente che si mangia il futuro» – Più forti dell’acciaio ha avuto il merito di valicare le divergenze sulle sorti del siderurgico.

Già in apertura Giosué De Salvo, responsabile Advocacy, educazione e campagne di Mani Tese, ha annunciato che «non si tratta di un film sulla crisi attuale dell’Ilva, ma di inserire l’argomento in una filiera più ampia dell’acciaio su scala globale». Lo spessore del lavoro filmico di Chiara Sambuchi è racchiuso anzitutto nel superamento del localismo. Lo sguardo della regista è proiettato su uno spazio ampio e si muove con acutezza di pensiero lungo un filo rosso. Quel cordone che tiene assieme il prima, il mentre e il dopo. Un viaggio tra le diverse fasi di una stessa filiera. I confini geografici si comprimono.

SUL GRANDE SCHERMO LO SPETTATORE vede riflesso il principio di interconnessione che soggiace al funzionamento della vita. Taranto è la terra di mezzo, tra il Brasile e la Germania. Tra una delle più grandi miniere di ferro in piena foresta Amazzonica, nella regione Gran Carajas del Brasile, e la cittadina di Duisburg, nel cuore della Ruhr in Germania. Tre storie, tre protagonisti. C’è Pixininga, un agricoltore brasiliano di Serra Norte che lotta per contrastare lo strapotere del colosso minerario Vale. C’è Egbert, che lavora alla conversione dell’enorme stabilimento siderurgico trasformato, dopo la chiusura, in un parco naturale. E tra loro c’è Grazia, una pediatra tarantina che si affanna ogni giorno ad assistere i suoi piccoli pazienti nella speranza che l’ex-Ilva presto venga chiusa.

Più forti dell’acciaio è un film che vuole «scrivere un nuovo corso per il proprio mondo». Per farlo elabora «una risposta positiva e piena di speranza», che risani la ferita color rosso scuro che lacera la foresta amazzonica, la stessa che oltraggia la serenità di migliaia di tarantini costretti a respirare diossina e a seppellire parenti e amici. Quella risposta è sul grande schermo. Non è possibile non agognarla e non sentire il desiderio di renderla realtà. È «il risveglio dopo decenni di tremendo inquinamento nel bacino della Ruhr, che finalmente si riappropria di sé».

LA CRISI DIVENTA OPPORTUNITA’. Quando nel 1961 l’ex cancelliere tedesco, Nobel per la Pace, Willy Brandt disse «il cielo sopra la Rurh deve tornare ad essere di nuovo blu», probabilmente in tanti pensarono che non sarebbe stato possibile. Nel caso di Duisburg si dovette attendere il 1985 per lo spegnimento dei camini dello stabilimento siderurgico e poi trascorsero ancora anni prima che iniziassero i lavori di bonifica e riconversione. È avvenuto un ribaltamento della prospettiva, uno switch lo chiamano gli inglesi, che ha cambiato il corso della storia. Sono i cittadini a innescarlo, quelli «più forti dell’acciaio» come i protagonisti del film. Vite diverse, gradi di istruzione diversi, in luoghi diversi, accomunati dalla consapevolezza che la filiera dell’acciaio è mortifera. «Siamo una popolazione votata allo sterminio», afferma nel documentario Grazia, la pediatra di Taranto. Questa volta, però, la frustrazione non è fine a se stessa: «Non è mai troppo tardi per essere felici», dice Pixininga. Occorre «imparare a vivere diversamente», suggerisce Egbert. Brevi frasi che innescano l’auspicato cambiamento di rotta. Quello in cui natura e uomo convivono armoniosamente e, come spiega Chiara Sambuchi, «si osservano reciprocamente»

LEI HA SCELTO I PROTAGONISTI del suo film perché «le andavano dritti al cuore quando le parlavano». «Li accomuna – fa sapere – l’essere in momenti diversi della stessa lotta e l’aver intrapreso una straordinaria battaglia che ha come fine ultimo il bene per gli altri». Non resta che continuare a perseguirlo, senza ulteriori compromessi. Quando anche Taranto sarà tornata una città a misura di bambino dove poter andare a scuola, giocare e respirare a polmoni aperti, allora forse documentari come questo – capaci di commuovere e scuotere – diverranno parte della memoria. Fino ad allora è bene cercarli, guardarli e sostenerli.