Nei giorni scorsi sui giornali si è diffusa la leggenda metropolitana della riduzione di 6 miliardi del programma sugli F35 per finanziare il taglio dell’Irpef. Si parlava addirittura di un dimezzamento del numero degli aerei da acquistare e costruire. Quello che prevede Renzi – in uno dei 10 tweet, l’unico dei dieci non commentato e presentato sbrigativamente – è una piccola “revisione” della spesa di 150 milioni di euro per gli F35: cioè il costo di un aereo (su 90) e mezza ala di un secondo. In sostanza un ridicolo taglio dell’1,1% dello stanziamento previsto per i prossimi anni di 14 miliardi.

Una presa in giro che il primo ministro potrebbe retwettare con il seguente hashtag #bufalarenzif35. Tra l’altro, nel tweet della conferenza stampa l’ex sindaco non ha usato la parola riduzione, ma revisione: che concretamente potrebbe anche voler dire uno spostamento della spesa nel 2015.

D’altronde «la pubblicità è l’anima del commercio», anche di quello politico ed elettorale. Berlusconi firmava i contratti in tv e disegnava con il pennarello mappe di autostrade e gallerie, Renzi usa mezzi più trendy: la volta scorsa con le slide, nella conferenza stampa di ieri con un po’ di tweet a sicuro effetto, ma di scarsa sostanza. Forse alcuni quotidiani oggi scriveranno: «Renzi taglia gli F35». Ma è, appunto, una bufala.

Quanto poi al decreto di riduzione dell’Irpef è vero che porta sicuramente beneficio ad alcuni milioni di italiani. Non si sa per quanto. Renzi promette che sarà una misura strutturale, ma al momento è una tantum: tanto è vero che i soldi in busta paga non vengono messi stabilmente con le detrazioni (come si prevedeva in questi giorni) ma con un bonus, come gli estemporanei «bonus bebè» e tanti altri dell’era berlusconiana. Vedremo poi cosa succederà con la legge di stabilità 2015.

Mettere «più soldi nelle tasche degli italiani» è positivo (se siano 10 milioni, come dice Renzi, o un po’ di meno come dicono gli istituti di ricerca lo vedremo), anche se ci sono un po’ di «ma», da ricordare. Il decreto non porta un euro in più a incapienti, disoccupati, «false» partite Iva (cioè dipendenti di fatto) e pensionati. Il decreto, poi, beneficia una parte importante dei lavoratori del pubblico impiego che però hanno avuto il blocco contrattuale negli ultimi cinque anni e ce l’avranno fino al 2017 (e forse fino al 2020). Gli 80 euro nemmeno coprono i mancati aumenti contrattuali di questi anni e dei prossimi tre. Poi va ricordato che nel disegno di legge sul lavoro di Poletti c’è una norma che prevede la cancellazione delle detrazioni per i coniugi a carico (a favore di un indefinito fondo per l’occupazione femminile) e questa -se verrà approvata – comporterà la vanificazione del 70-80% dei benefici delle riduzioni Irpef. Da non dimenticare che la nuova Tasi -per chi è proprietario di casa- comporterà una maggiore spesa media di 3-400 euro annuali.

Infine dal punto di vista macroeconomico il finanziamento della riduzione delle tasse attraverso una riduzione della spesa pubblica non ha alcun effetto espansivo sull’economia: cioè non aumenteranno la domanda e i consumi. Lo dice il Def appena approvato che certifica con un miserrimo + 0,1% l’effetto di questa misura sulla crescita. È molto probabile -come succede puntualmente da anni con i dati del ministero dell’Economia- che queste previsioni saranno riviste al ribasso e l’effetto potrebbe avere, purtroppo, segno negativo.

A proposito di coperture, le riduzioni della spesa pubblica non hanno fortunatamente incluso i tagli alla sanità, ma prevedono comunque un taglio di 1,4 miliardi di euro agli enti locali e alle regioni: significa meno servizi e prestazioni per i cittadini. E le entrate (comunque una tantum) dalla tassazione delle banche per la rivalutazione delle quote di Bankitalia, sono state tutte conteggiate, anche se maggiori, sul 2014 e quindi sono risorse che non ritroveremo più nel 2015 e nel 2016, come inizialmente previsto.

* Deputato di Sel