Il Covid è un rivelatore che ha esasperato ingiustizie e ineguaglianze pre-esistenti. Tra queste, le differenze salariali tra uomini e donne, oltreché il tasso di occupazione. Per contrattaccare, la Commissione Ue propone delle misure sulla «trasparenza salariale», considerata dalla presidente Ursula von der Leyen, «una priorità politica»: «Un eguale lavoro richiede un salario eguale e perché ci sia eguale salario c’è bisogno di trasparenza». Von der Leyen ha affermato questa settimana che «le donne devono conoscere se il loro datore di lavoro le tratta con giustizia e se non è il caso devono avere il potere di lottare e ottenere ciò a cui hanno diritto».

La Commissione sottoporrà quindi una proposta al Parlamento europeo, una direttiva che gli stati membri avranno due anni per trasporre nei rispettivi diritti nazionali. Oltre alle misure di trasparenza, la direttiva permetterà un migliore accesso alla giustizia per le vittime di discriminazione. Questa direttiva dovrebbe dare una spinta alla Gender Equality Strategy, un programma in atto dal 2020 al 2025. L’eguaglianza tra uomini e donne è del resto un principio contenuto nei Trattati (art.157) e oggetto di una raccomandazione del 2014.

Ma la realtà racconta un’altra storia. Intanto, le donne sono meno presenti sul mercato del lavoro degli uomini: ci sono 11,7 punti di differenza nel tasso di occupazione in Europa, secondo Eurostat (dati 2019, pre-Covid), che constata 79% degli uomini occupati e il 67,3% delle donne (minori differenze in Lituania, Svezia, Finlandia, maggiori in Italia, Grecia, Malta).

Sui salari, il gap è del 14,8% e non è cambiato molto negli ultimi dieci anni. Le donne sono sovra-rappresentate nei lavori meno pagati, mentre nelle professioni più remunerate gli uomini rappresentano l’80% degli occupati. Le donne sono più presenti nel part-time (32,9% la media europea, quattro volte quella degli uomini), in buona percentuale non scelto. Inoltre, le donne svolgono meno ore in lavori remunerati e più ore in quelli non remunerati (a casa, di cura ecc.). C’è poi il solito soffitto di vetro: meno del 10% degli amministratori delegati delle grandi società sono donne, tra i manager gli stipendi delle donne sono del 23% inferiori a quelli degli uomini. E tra gli alti salari il gap aumenta.

All’interno della Ue, coesistono situazioni diverse, aggravate dal Covid. Il caso dell’Italia è emblematico. Secondo un’indagine della Fondazione studi dei consulenti del lavoro, la pandemia ha allargato il divario: il numero di donne con un lavoro in Italia è diminuito del doppio rispetto alla media Ue (meno 4,1%, contro una media di meno 2,1%, peggio dell’Italia solo la Spagna con meno 5,2), mentre il gap salariale è cresciuto di 1,7 punti (mentre in Spagna solo dello 0,4). Su 100 lavori persi in Europa, 46 sono femminili, ma in Italia questa cifra sale a 56 su 100, un primato negativo (44 in Francia, 48 in Spagna, un terzo per Austria, Portogallo, Grecia).

Lunedì ci sarà un corteo a Parigi per rivendicare un miglioramento a favore delle lavoratrici che hanno tenuto in piedi la società durante i lunghi mesi del Covid, «8 marzo, prime di corvée». Sindacati e ong ricordano che «i salariati applauditi dai balconi sono in maggioranza donne: infermiere, collaboratrici domestiche, cassiere…». In Francia ogni anno viene ricordato che le donne lavorano gratis dalle 15,35 del 6 novembre fino a fine anno, nella Ue c’è l’Equal pay day, fissato al 3 novembre (data media dell’inizio del lavoro gratis).

Il gap salariale cambia da paese a paese: si va da un 3% di Lussemburgo e Romania a più del 20% in media per Austria, Repubblica ceca, Germania, Estonia.

Le differenze salariali sono più forti nel settore privato che nel pubblico, in Germania per esempio questo scarto arriva al 22,7%, a causa della forte presenza di part-time. Quanto ci vorrà per raggiungere la parità? Stando ai ritmi attuali, in Francia ci vorranno mille anni (dal 2010 il gap diminuisce solo dello 0,1% l’anno), in 9 stati della Ue basteranno cent’anni, mentre in Lussemburgo si raggiungerà nel 2027, in Belgio nel 2028 e in Ungheria nel 2031. In Romania sarà già nel 2022, ma perché i salari sono bassi per tutti.