Negli Stati Uniti la festa del lavoro è celebrata il 4 settembre. Non ha la stessa energia né l’internazionalismo del primo maggio, e il suo significato viene rimosso dagli sconti massicci degli iper-mercati. Ma la festività ha una storia per il movimento operaio americano: risale al 1894 ed è il prodotto di alcune delle lotte più radicali del XIX secolo condotte dai socialisti e dai sindacati anarchici. Anche ieri i lavoratori si sono fatti sentire, in particolare quelli del movimento «Fight for 15» che da anni conduce una battaglia vibrante per il salario minimo a 15 dollari. Da Chicago a Memphis, da Kansas City a Los Angeles, Buffalo e Cleveland, in prima fila ai cortei e agli speakers corner c’erano i cuochi, i camerieri e i cassieri dei Mc Donald’s, Burger King insieme ai sindacati (Seiu, Afl Cio) che si battono per l’aumento del salario minimo da 11 a 15 dollari e per i diritti sindacali, l’assistenza sanitaria e le altre tutele di base quasi sconosciute per chi lavora nel terziario povero con contratti ultra-precari. Lo sciopero nazionale americano ha avuto un’eco globale ed è arrivata anche in Italia, Francia, in Giappone e in Gran Bretagna dove nei Mc Donald’s si è tenuta la prima astensione dal lavoro dal 1974, l’anno in cui l’azienda americana ha aperto il ramo inglese delle sue attività che oggi impiegano 85 mila persone in 1.249 ristoranti. Nel mondo Mc Donald’s conta su un milione di occupati.

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«Negli ultimi 25 anni – racconta Eva Cruz che lavora in un Burger King di Miami – ho lavorato per una compagnia che ha rifiutato di pagarmi più di un salario minimo: 8,10 dollari all’ora è tutto quello che ricevo dopo tanto tempo. Nove anni fa ho cercato di andare in pensione, ma era finanziariamente insostenibile. Ora di anni ne ho 74 e lavoro ancora. Se avessi un sindacato a cui iscrivermi per me il mondo sarebbe un posto migliore». «Con un salario minimo a 15 dollari – racconta Zena Mberwa, lavoratrice a Kansas City della catena di fast food Wendy’s – riuscirei a pagare le bollette in tempo e potrei dare ai miei bambini tutto quello di cui hanno bisogno senza esitare, Potrei anche aiutare i miei familiari in Africa quando hanno bisogno di me».
A Londra, duecento persone hanno manifestato ieri davanti al parlamento, quaranta delle quali lavorano nei ristoranti Mc Donald’s di Cambridge e Crayford, a sud est di Londra. Con loro c’era anche il cancelliere dello scacchiere ombra, il laburista John McDonnell che ha definito la protesta inglese e globale: «Questi lavoratori sono estremamente vulnerabili – ha detto – Ma hanno il coraggio di fare sciopero». La mobilitazione ha ricevuto anche l’appoggio del leader del partito Laburista Jeremy Corbyn: «Chiedono l’abolizione dei contratti a zero ore entro la fine dell’anno, il riconoscimento del sindacato e un salario minimo da 10 sterline» ha detto.

L’azienda ha risposto che i manifestanti rappresentano lo 0,01% degli occupati in Gran Bretagna e ha ricordato che nell’aprile scorso è stata presentata una proposta ai lavoratori: scegliere tra un contratto flessibile e uno «fisso» con un numero minimo di ore garantite. Mc Donald’s sostiene che l’86% della forza lavoro ha scelto di restare con il contratto flessibile. «La migliore sicurezza per i lavoratori – ha risposto McDonnell – è il riconoscimento dei sindacati in modo tale che le vertenze possano essere risolte e negoziate senza arrivare allo sciopero». Ian Hodson, segretario nazionale del sindacato Bakers and Allied Food Workers Union (Bfawu) ha detto che Mc Donald’s ha iniziato a offrire ai lavoratori contratti più garantiti da due settimane, probabilmente anche grazie alla mobilitazione in corso. «Mc Donald’s – ha aggiunto Hodson – ha infinite opportunità per risolvere queste vertenze offrendo una paga dignitosa. Da troppo tempo i lavoratori lamebntano condizioni da fame, tagli drastici all’orario di lavoro e anche il mobbing sul posto di lavoro come punizione per l’iscrizione al sindacato».