La più famosa requisitoria contro il Prodotto Interno Lordo (Pil) è stata commissionata dall’allora presidente francese Nicolas Sarkozy agli economisti Joseph Stiglitz (nella foto), Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi nel 2009. L’omonima commissione ad alto tasso di partecipazione di premi Nobel (cinque) era composta da 22 collaboratori (per l’Italia c’era Enrico Giovannini, ex presidente Istat e ex ministro del lavoro). Le 300 pagine del rapporto liberamente scaricabile in rete si concludono con dodici raccomandazioni che riguardano il benessere materiale e quello non materiale.

La commissione non propose un indice alternativo al Pil, ma la razionalizzazione di una serie indicatori utili per la messa a punto di statistiche in grado di descrivere la multidimensionalità del benessere sociale. Evidenziò la necessità di stimolare i redditi e i consumi, non la produzione. I governanti vengono esortati a considerare che il benessere dipende anche da attività che non producono scambi di mercato e che i servizi offerti dal Welfare non possono essere misurati esclusivamente a partire dai loro costi, bensì dall’impatto che hanno sulla vita dei singoli. Nella vita materiale delle persona conta la qualità del «tempo libero», e non solo quello del lavoro. Parte considerevole di questa visione viene occupata dalle relazioni sociali, dalla politica e dalla vulnerabilità dei singoli. Fattori determinanti che finiscono con il pesare anche sulla condizione economica di una popolazione.

Benessere e Pil non sono la stessa cosa. Ne era consapevole già Simon Kuznets, l’«inventore» americano del Pil nella Grande Depressione, secondo il quale «il benessere non può essere desunto da un indice del reddito nazionale». Il Pil è una misura sintetica, comprensibile e facilmente comparabile a livello internazionale che resta tuttavia sempre uguale a se stessa. È invece il benessere a cambiare seguendo la trasformazione dei contesti sociali e la variabilità delle condizioni economiche.

Ciò che era «buono» nel 1970 non è detto che lo sia nel 2014, ad esempio. La definizione del «benessere» di una popolazione è il risultato di una decisione politica che sceglie di perseguire l’obiettivo della massimizzazione della crescita, e dunque di un modello produttivo altamente dispendioso di risorse bioeconomiche o ambientali. Quello che sta accadendo oggi, al sesto anno della crisi globale, dove si continua a perseguire un modello incentrato sull’espansione edilizia, le energie fossili o lo sfruttamento di lavoro precario o gratuito.

Innumerevoli sono gli indici alternativi. Oltre al Benessere equo sostenibile (Bes) elaborato dall’Istat/Cnel, o l’Indice di sviluppo umano ispirato alle idee di Amartya Sen, c’è quello sulla «Felicità Interna Lorda» adottato dal re del Bhutan. L’Ocse ha lanciato il «Your Better Life Index». Insomma, la ricchezza è un problema troppo grande per lasciarlo ai soli politici o agli economisti.