La mafia, alla fine, nell’inchiesta romana c’è entrata davvero. Nello stesso tempo, però, senza troppo clamore si è spostata un po’ sullo sfondo. L’ingresso è legato a due nuovi arresti, eseguiti ieri mattina, e direttamente collegati a un accordo tra Salvatore Buzzi, l’uomo della cooperativa «29 giugno», e una ’ndrina, quella del clan Mancuso di Limbadi. Lo slittamento della mafiosità romana in posizione più defilata, invece, è veicolata, tra le righe, dalla viva voce del procuratore Pignatone, audito ieri dalla commissoine antimafia.

Pignatone ha ovviamente confermato che il metodo adoperato da Carminati a Roma era tale da giustificare il ricorso al 416bis, e ha ripetuto che la «seconda grande operazione», quella di ieri, non sarà l’ultima. Altre seguiranno a breve. Il Tribunale del Riesame, ieri, si è occupato della situazione chiave, quella di Carminati. Il responso arriverà entro 5 giorni ma si può star certi che confermerà l’impianto della procura e di conseguenza il ricorso all’associazione mafiosa.

Lo stesso procuratore, però, due precisazioni fondamentali ieri le ha fatte. La prima è che «la mafia non è l’unico problema di Roma e non è detto che sia il principale». La seconda è che «a Roma non c’è un’unica associazione mafiosa che controlla la città come a Palermo. Ci sono alcune associazioni specifiche, come per esempio i Fasciani a Ostia, e altre, collegate a Cosa Nostra, nella città». Sembra una sfumatura ma non lo è. Mafia Capitale è derubricata di fatto, da piovra in grado di controllare l’intera metropoli, a una delle associazioni criminali in campo, sia pure, in virtù del metodo, sempre di stampo mafioso.

Nell’intervento del procuratore ci sono altre precisazioni importanti. Prima di tutto le ammazzatine per strada degli ultimi anni non sono collegate all’inchiesta in corso. In secondo luogo non c’è alcun riscontro sull’intercettazione di Odevaine che parlava di valigie piene di soldi sporchi portate da Alemanno in Argentina. Il Fatto ha però ricordato ieri che nel 1982 Alemanno era in carcere, a Rebibbia, come Carminati. Non significa che i due si dovessero conoscere, se non fosse che nello stesso edificio si trovava anche Peppe Dimitri, uno dei nomi più importanti del neofascismo romano, amico tanto del «Pirata» quanto dell’allora giovanissimo futuro sindaco. Alemanno giura di non aver mai consociuto Carminati, ma immaginare che lui, Dimitri e il mafiosissimo potessero trovarsi a poche celle di distanza senza mai essere entrati in contatto tanto facile non è. C’è infine l’assicurazione che i nomi eccellenti spuntati qua e là nelle 60mila carte dell’inchiesta, come Belen o De Rossi, non sono neppure lambiti dall’inchiesta. I fatti che li riguardano «sono palesemente irrilevanti».

L’asse centrale dell’inchiesta continuano dunque a essere gli appalti, le mazzette, la clientela diffusa. Neppure l’entrata in scena ufficiale della ’ndrangheta modifica nella sostanza il quadro. I due arrestati di ieri sono Rocco Rotolo (dipendente della «29 giugno») e Salvatore Ruggiero (ex dipendente della cooperativa di Buzzi, poi per dieci anni di stanza alla Roma Multiservizi presieduta da Panzironi. l’ex ad Ama attualmente in manette. I due sarebbero stati incaricati da Buzzi di intavolare trattative con i Mancuso di Limbadi in vista di un accordo reciprocamente vantaggioso. A Roma i calabresi avrebbero messo piede nell’appalto per la pulizia dei mercati dell’Esquilino, affidato alla appositamente costituita Santo Stefano onlus, che Buzzi, sintetico, definiva «questa cooperative di ’ndranghetisti». In cambio Buzzi avrebbe avuto protezione e mano libera nella gestione del centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Cropani Marina, Catanzaro, un affare da 1 milione e 300mila euro.

Quell’appalto Buzzi se lo era in realtà aggiudicato cinque anni fa, nel 2008-2009, ed è lui stesso a raccontare che a Cropani, ai tempi, «parlava con tutti», ’ndrine incluse. In questi anni la ’ndrangheta avrebbe garantito la sua protezione al romano: debito saldato un lustro più tardi affidando la Santo Stefano all’uomo dei Mancuso, Giovanni Campennì.

A Buzzi il calabrese piaceva per la verità poco e niente. Scompariva per mesi, e quando c’era si comportava da padrone più che da cooperante. Ma sono proprio i due emissari e ricordargli che «so’ passati cinque anni.. t’ha toccato qualcuno là sotto?». Chiarendo comunque che loro con Campennì non c’azeccavano: «Io sono andato dai Mancuso per Buzzi Salvatore… E i Mancuso mi hanno mandato a sto soggetto».

L’arrivo del calabrese nei mercati dell’Esquilino, chiarisce l’ordinanza di arresto, avviene con il placet di Carminati, e come si fa a non esserne convinti dati i rapporti che nel 2013 intercorrevano omai da lunga pezza fra «il Nero» e la cooperativa rossa? L’avvio del sodalizio con le ’ndrine, invece, sembra risalire a prima del fatidico incontro tra l’ex detenuto graziato nel 1994 e il neofascista pluricondananto, ma sempre a pene lievi o lievissime.

L’ultima novità, sul fronte in evoluzione dell’inchiesta romana, è l’arrivo di un giudice antimafia di prima linea, Giancarlo Sabella, nella giunta capitolina, in veste di assessore alla legalità. L’affare non è ancora fatto, ma ieri il sindaco Marino è andato apposta dal vicepresidente del Csm, che dovrà dare il permesso al trasferimento di Sabella. formalmente il responso è incerto, ma è già sicuro che nella nuova giunta Sabella ci sarà.