Caro Piero, che pena perderti così, da lontano, all’improvviso, senza neppure poterti salutare per l’ultima volta.

L’ultima volta è stato poche settimane fa, quando mi hai chiesto di scrivere qualcosa sull’esperienza-limite di questa pandemia, e poi abbiamo parlato di poesia e dell’urgenza fisica della scrittura poetica, che è scavo nelle profondità della parola, ricerca della bellezza, cura del suono…

MI BASTA CHIUDERE gli occhi per ritrovarmi insieme a te laggiù, in quella estremità delicata e preziosa d’Europa, in una delle piazzette soleggiate e metafisiche di quel tuo Salento senza retorica.

E là, dove i paeselli si fanno subito campagna, tra le piante di fico d’india e le architetture barocche, in quei luoghi scolpiti nei versi di Vittorio Bodini e indagati con occhio limpido e amico da Ernesto de Martino, là ho imparato a conoscere te e un mondo intero, un pezzo speciale di ciò che è stata la sinistra: la storia di un uomo mite e passionale, affamato di curiosità e di libertà, laico e spirituale, educatore anche nella durezza di un carcere, piccolo editore di qualità del Sud, sempre militante a difesa dei diritti degli ultimi.

La storia di Piero Manni. E di una famiglia. E di una comunità politica e intellettuale che attorno a lui ha ruotato.

LA TUA STORIA, caro Piero, quella che tu non ostentavi ma di cui andavi fiero.

Tu sapevi di essere un nuotatore controcorrente, ma prendevi la forza dalla mitezza: e nuotavi tranquillo, spesso ti si vedeva allegro. Poi certo avevi le tue inquietudini, le tue malinconie, ma non hai mai dismesso la tua responsabilità di militante, il tuo dovere di partigiano.

E per te ovviamente la battaglia era fatta di libri e ancora di libri. Hai fondato una casa editrice per raccontare il Salento al mondo e il mondo al Salento, per aprire i cortili di casa al vento del futuro e a quello del passato, per non cedere alle mode effimere e alle lusinghe mercantili, per reagire ai veleni del revisionismo storiografico, per non disperdere saperi e storie, per non smarrire le tracce di chi siamo stati, per capire le cose e il loro senso.

Nella immensa provincia leccese non c’è solo l’incanto per i suoi decori e le sue architetture, non c’è solo la magia ritmata dai tamburelli di una travolgente musica popolare, c’è anche il racconto delle lotte delle tabacchine o della vita agra degli operai e delle operaie nel tessile e nel calzaturiero, c’è il destino di precarietà della «meglio gioventù» a 400 euro in un call center, c’è il medioevo rurale del caporalato.

C’è il dolore sociale, talvolta c’è la coscienza sociale.

Il Salento è anche una storia di lotta di classe, o viceversa una peculiare e feroce vicenda di mafia territoriale (la Sacra Corona Unita).

Ecco, il Salento è un lembo di Mezzogiorno d’Italia, un sunto delle sue contraddizioni.

E dunque tu, caro Piero, lo hai abitato e vissuto con un meridionalismo colto e moderno, allergico ai travisamenti folcloristici: ma non era la difesa corporativa di un territorio, non era localismo, non era “sudismo”.

Il tuo meridionalismo, caro Piero, era ed è una bussola, una lanterna, era ed è una sterminata bibliografia, Gramsci con don Tonino Bello, il Mediterraneo come culla e come destino.

Il tuo Sud era una ribellione civile e una missione politica.

Per questo tu sei un piccolo editore ma anche un grande editore. Perché il catalogo della tua casa editrice era ed è anche una risposta all’involuzione propagandistica e all’immiserimento del dibattito pubblico.

Quando ero deputato di Rifondazione Comunista ogni tanto finivo ostaggio in uno dei tuoi uffici, nella palazzina della Piero Manni Srl a San Cesario di Lecce: tuo prigioniero politico, convocato a discutere, a darti un parere su alcuni scritti, o a scrivere una prefazione per un saggio in uscita, o a programmare qualche evento, o a organizzare la copertina di un mio libro.

Quello che mi rimane di quelle incursioni nel tuo regno è la tua irresistibile cordialità ma anche il ricordo nitido di una tua caratteristica: l’ostinazione.

L’ostinazione buona, di chi sa combattere quella che San Paolo chiama la «buona battaglia». Era impossibile immaginarti rinunciatario. Caricavi il tuo sorriso, accendevi la bonomia del tuo parlare, sempre discreto, ironico, arguto, e ti facevi subito voler bene.

POI QUANDO in Puglia è arrivata la rivoluzione tu eri già lì, pronto e felice come un ragazzino.

Si trattò, come è noto, di una rivoluzione «gentile» e «double face»: bisognò prima sconfiggere il centrosinistra con le primarie e poi sconfiggere la destra del salentino Fitto.

Ecco, quella volta abbiamo rotto l’incantesimo di una sinistra succube del moderatismo e vocata al suicidio: e abbiamo vinto due volte.

Lo ricordo solo perché tu Piero sei stato una rondine di quella «primavera pugliese».

E così voglio fissarti nel mio cuore, col sorriso di quel giorni. Tu, amico mio: un costruttore di primavere.