Ho ancora qui sul tavolo il libro Sinfonia del corpo di Trotula de Ruggero, prima medico donna della assai rinomata scuola di Salerno, pieno Medio Evo. Nella prima pagina c’è una dedica: è dell’editore Piero Manni, scomparso venerdì scorso.

Mi fa piacere avere qui vicino questo libro, è come se potessimo parlare ancora di questa straordinaria medichessa, come avevamo iniziato a fare nella primavera scorsa, quando, ogni anno, sono a Lecce per il festival del cinema europeo, una delle tante testimonianze della vivacità culturale di questa cittadina in fondo al tacco dello stivale, tra le più belle del nostro paese.

L’anno prima, in occasione del festival, avevo cenato qui con Piero e Elettra Ingravallo – pochi mesi fa se n’è andata anche lei – una colonna del «grande» centro di iniziativa de Il Manifesto delle origini, nato quaggiù per la bizzarra, ma preziosa, dislocazione della nostra organizzazione.

RICORDO QUESTO incontro come un esempio tra i tanti che potrei fare per ribadire quanto già Tommaso Di Francesco ha scritto sabato scorso ricordando Piero: che il rapporto fra noi e la casa editrice Manni è stato un intreccio continuo.

«Manni editori», indica un plurale. E infatti sarebbe difficile trovarne un’altra altrettanto plurale.

L’hanno fondata assieme, nel 1984, Piero e sua moglie Anna Grazia d’Oria, che insieme avevano già dato vita a l’immaginazione, rivista letteraria, tutt’ora una delle migliori.

Una collaborazione matrimoniale costante, arricchita, appena l’età l’ha consentito, da quella delle due figlie, prima Grazia, poi Agnese. Quattro veri editori, i Manni, per l’appunto.

TELEFONO AD AGNESE – avevo tentato già venerdì scorso ma come era comprensibile non se la sentiva di parlare. Poi una chiacchierata è stata possibile.

Mi racconta come per lei, da bambina, fosse difficile distinguere la casa editrice dalla famiglia. «Facevamo tutto noi, i pacchetti e le etichette per la spedizione: io, si può dire che ho imparato a scrivere così. Tutto del resto si faceva in casa, non c’era una sede separata. Poi, dopo esser state, prima mia sorella e poi io, all’università a Bologna, quindi ad imparare in una casa editrice “vera”, siamo tutte e due tornate a casa a lavorare per la Manni editori. Anche nostro fratello – almeno per un po’ – ha lavorato qui».

«NOI GIÀ DAL ’90 avevamo conosciuto una svolta, cominciammo a pubblicare libri di risonanza nazionale; ma, non avendo distribuzione, era difficile trovarli in libreria. Ci spinse alla svolta Grazia Cherchi, (Quaderni Piacentini) che venne apposta a conoscere i miei quaggiù a Lecce. Grazia animò una vera campagna stampa di sostegno che ci fece finalmente approdare alla distribuzione nazionale. Mamma e papà fino a quando sono andati in pensione hanno continuato ad insegnare, nelle carceri, per ben 20 anni, un’esperienza di cui ci hanno raccontato molto. La mattina lavoravano in casa editrice, il pomeriggio in carcere».

LA COSA STRAORDINARIA è che nonostante il carattere familiare dell’azienda gli autori della Manni Editori sono stati sin da subito i più importanti della letteratura italiana.

È dipeso dai rapporti che negli anni si erano stabiliti con la rivista e dai due fondatori: colti e attenti alla società italiana,politicamente attivi. (Piero è stato anche consigliere regionale nella giunta Vendola).

Il primo libro – si era nel pieno dei movimenti pacifisti, contro le installazioni dei missili – si chiama Segni di poesia/lingua di pace, un cast straordinario: Leonetti, Caproni, Luzi, Sanguinetti,Volponi, Zanzotto e alcuni più giovani.

E contemporaneamente nasce anche una collana di narrativa e poesia, «La scrittura e la storia», affidata a Romano Luperini. E poi un impegno politico ancora più diretto con dialoghi molto speciali: Io non ci sto. Appunti per un mondo migliore, un lungo colloquio tra Pietro Ingrao e padre Alex Zanotelli, Dialogo sulla legalità, con don Luigi Ciotti e Nichi Vendola.

Piero Manni è stato capace di riproporre i grandi della nostra letteratura – da Merini, Fortini, e tanti altri – , ma di prestare ascolto ai più giovani e ai più trasgressivi, nel catalogo c’è anche un libro, 2011, di Bifo.

CHIEDO AD AGNESE se con suo padre si è mai scontrata su una scelta editoriale.

«Sì, proprio qualche anno fa. Papà si era messo in testa di pubblicare un’antologia con le poesie contenute nei testi scolastici degli anni Cinquanta, le prime che intere generazioni hanno imparato. A me non pareva una buona idea commerciale. E siccome nelle riunioni editoriali me la dava sempre vinta, quel libro non si fece. Poi un giorno – eravamo a pranzo da Chino Salento, a suo tempo segretario del circolo del Manifesto, con alcuni compagni tra cui Lidia Menapace (anche due suoi libri abbiamo pubblicato, così come quattro, di cui uno recentissimo, di Loris Campetti) e iniziarono tutti a recitare quelle poesie, uno recitava un verso e l’altro proseguiva. Erano tutti d’accordo con papà, io isolata. Aveva ragione lui, naturalmente. Il libro – Che dice la pioggerellina di marzo – è stato uno dei nostri best sellers, un successo fantastico».

Perché la nostalgia dell’infanzia è importante.