Esattamente trent’anni fa moriva Pier Vittorio Tondelli. Una personalità non solo letteraria, complessa e polimorfa, incarnata in un ragazzone semplice e schietto, che sapeva usare le armi della dialettica quando necessarie (e anche qualche innocente perfidia con chi proprio se la meritasse).

Un caso raro nella letteratura italiana recente: ha vissuto una parabola di scrittore lunga poco più di un decennio, in cui ha praticato rispetto alla scrittura ogni ruolo possibile. Ha scritto alcuni libri, che nonostante le mode editoriali restano importanti, e ha pubblicato articoli pungenti e articolati su molte testate, dei generi più vari, tutte ragguardevoli nel proprio campo, fossero fanzine d’avanguardia o testate internazionali (tra le ultime, in ordine di tempo, anche il manifesto). Ma ha fatto pure in modo che altri, più giovani, potessero pubblicare i propri scritti, talent scout e «precettore» (nel senso largo di promotore) di un’intera generazione di giovanissimi scrittori che lui ha spinto a scrivere e ad essere letti, rivelando anche alcune firme importanti, da Silvia Ballestra a Enrico Brizzi, solo per citarne alcuni tra i molti.

UNA SCELTA di vera «generosità» la sua. Come chiamare altrimenti la convinzione testarda, giovanissimo e appena arrivato al successo editoriale, di cercare e promuovere talenti letterari di una generazione che aveva solo cinque anni meno di lui? L’esperienza di Under 25 da lui promossa e intrapresa con la casa editrice Lavoro editoriale/Transeuropa rimane unica e grandiosa. Uno scoutismo letterario che qualcuno ha visto somigliante a quello di Elio Vittorini, ma che ha avuto caratteristiche meno ufficiali o gestite dall’industria editoriale. Non a caso quel bisogno nuovo della scrittura nella generazione post ’77, è sfociato poi purtroppo, per mano di altri «piccoli maestri», nell’apertura di infinite «scuole» di scrittura, insegnata come fosse una scienza quasi aritmetica…

TONDELLI ha in qualche modo imposto la figura contemporanea del «giovane scrittore», che per altro vendeva moltissimo. Tanto da passare in Italia da Feltrinelli a Bompiani, mentre in Francia era tradotto dalle Editions du Seuil. Anche quando con occhio birichino e scaltrito racconta la (proprie) peripezie durante il servizio militare, nella temibile caserma Macao al centro di una disincantata Roma: Pao Pao, uscito nel 1985.

Una modalità che si è riproposta, con maggior esperienza di costruzione drammaturgica, a Tondelli autore negli anni successivi, bagnandosi senza pudore e anzi con occhio pungente e divertito, nel racconto in forma di romanzo della Rimini (nel 1985) di cui conosceva i lati deboli dietro le mitologie. Le avventure di quella opulenta capitale della Romagna felix fecero storcere il naso a qualcuno (e venne perfino censurato da Pippo Baudo in tv). Oggi resta un racconto ai raggi x della società di quegli anni (di nuovo, vorticoso cambiamento), davanti a una generazione, la sua, che era esplosa nel ’77, e si era trovata davanti rapimento e morte di Aldo Moro.

HA RACCONTATO GLI ANNI 80 passandoli al setaccio, e facendone emergere esaltazioni e difetti, limiti e slanci. Raccontando la «sua» storia, ne ha scoperto il divertimento e i limiti collettivi, inventando un modo di narrare che di quegli anni 80 (che aprivano le porte ai disastrosi 90), è diventata la più autorevole, e centrata e vitale, radiografia.

Ha conservato sempre però la sua morale, che non senza qualche acidità, è stata da qualcuno definita «cattolica» nel senso deteriore. Invece, a riguardarla adesso, mostra soprattutto una levatura davvero «etica». E un’altra sua caratteristica che non si può non ricordare, è stata la curiosità, culturale e antropologica, che gli imponeva di sviscerare e approfondire qualsiasi comportamento e sentimento fiutasse in giro.

LA CORPOSA SILLOGE di un’epoca intera costituisce la sua opera finale, uscita alla fine del 1990, un anno prima della morte, Un week end postmoderno, da lui stesso definito con modestia in una dedica «un po’ di filologia anni ’80». Una scorribanda di più di seicento pagine (curata da Fulvio Panzeri, primo esegeta di Pier Vittorio) su tutti i suoi «scatti» attraverso musica (colta quanto «extra»), cinema, teatro, arti figurative, personaggi, mode, festival, discoteche, spiagge, luoghi tipici e topici, capitali e città di provincia (prima invocazione A Karpi, a Karpi!), pubblicità e consumi e qualsiasi altra cosa si possa «vedere». E tutti quegli «scatti», insieme, tessono il filo di una avvincente e imperdibile fiction, esaltante e orrenda. Gli anni 80 appunto, come nessuno ce li ha mai più raccontati.