Quando Altri libertini uscì, con la lingua un po’ lirica e volutamente sgangherata di un flusso di coscienza alla Kerouac e in presa diretta, come quella del Boccalone di Enrico Palandri, fu subito chiaro che stilisticamente erano entrambi libri e autori di una generazione che aveva preso le distanze da quelli criptici della neoavanguardia per tornare alle storie, alla «narratività» e ricongiungersi al filone del realismo.

PIER VITTORIO TONDELLI fu quello che più di altri interpretò quel momento, ma fu anche uno scrittore nuovo, cosmopolita, che, come scrisse lui stesso, pensava che le ragioni della letteratura fossero più forti di quelle dell’ideologia, anche se «Quel ragazzo», come si definì in uno di quegli scritti del Week end postmoderno, uno zibaldone pop, comunque ne portava addosso segni inconfondibili. Quando li commemora in quel testo, alla fine ammette con sincerità che «di quegli anni, quel ragazzo e io rivorremmo un po’ di progettualità e di tensione ideale».

Adesso di questa sua parabola intensa, durata pochi anni (lo scrittore di Correggio morì a soli 36 anni nel 1991), c’è però una intensa memoria critica scritta da uno degli studiosi che più si sono interrogati sulla sua condotta, Lo scrittore giovane di Roberto Carnero (Bompiani, pp. 240, euro 11).

Il libro mette insieme cronologicamente e fedelmente biografia e bibliografia, raccontando anche il farsi negli anni della scrittura, e mettendo l’autore al riparo dalla mitizzazione post mortem, chiudendosi con un’appendice su qualcosa che esula dalla letteratura dell’autore, ma ne diventa un elemento epigonale, cioè il cosiddetto «tondellismo», che nasce nobile con i «progetti under 25» ma presto diventa funzionale a un nuovo mondo editoriale traformatosi in una fabbrica che sforna «giovani scrittori» alla ricerca del best seller, e cancella la funzione e il magistero della società letteraria.

PER QUESTO, e a maggior ragione, Pier Vittorio Tondelli è uno scrittore che sta dentro tale frattura e ne interpreta emblematicamente le trasformazioni. Carnero, infatti, con abilità, ne sviscera sia la cosciente letterarietà, «possedere la consapevolezza, che in lui era ben salda, dell’alterità e dell’insostituibilità della scrittura e del fare letterario», ma anche quella del mestiere dello scrittore nella società che cambia, in un mercato in espansione, e la contaminazione della lingua e dei nuovi immaginari come la musica, il cinema, le arti figurative, quel «sound emotivo» e «una scrittura che si compromettesse altamente con la contemporaneità».
Carnero analizza in principio Altri libertini, il romanzo a cornice e di formazione per eccellenza dove racconta il senso di smarrimento di una generazione che persino uno come Massimo D’Alema, recensendolo, trova «politico, se non altro perché l’esperienza giovanile che racconta svela una mancanza di politica o, se si preferisce, di crisi della politica».

È UN RACCONTO CRITICO il suo, molto narrativo e complice, che mette insieme valutazioni testuali, dichiarazioni di poetica e biografia, contestualizzandole al momento storico. Lo stesso fa per «Pao Pao», dove lo scrittore di Correggio, come mai prima di allora, affronta nella letteratura italiana la tematica omosessuale, che poi riprenderà in modo più deciso ed interiorizzato in Camere separate, o quando in Rimini cerca la strada del romanzo di consumo. Fino al Week end postmoderno, dove tutti i suoi temi, geografie e miti convergono: «l’Adriatico selvaggio e i paesaggi metropolitani, l’attenzione curiosa e disincantata per un mondo vacanziero e di ’superficie’ e l’interesse partecipe per la provincia italiana (…) nell’inesausta voglia di raccontare il romanzo di una generazione».

IN QUESTO LIBRO, forse il suo migliore, Tondelli, spesso accusato di «trasformismo narrativo», cambia ancora strategia e diventa un «reporter narratore» in quella che considera un’opera aperta, dove convivono la «cronaca del contemporaneo», ma anche la sua genealogia letteraria che riscopre criticamente, da Celati a Coccioli, Baldwin e Kerouac, e i più generazionalmente vicini e affini Leavitt e Breet Easton Ellis.

Chi voglia ripensare la stagione dei cosiddetti «giovani scrittori», e soprattutto rileggere Tondelli, non può prescindere da questo appassionato e onesto ritratto non solo di un autore e di un’epoca, ma di un momento in cui le persone si compromettevano con le merci e i giovani non erano più eroi.