È noto agli specialisti lo strano fenomeno sorto intorno alla figura di Pier Paolo Pasolini, autore poliedrico e complesso, da tempo oggetto di un vero e proprio culto postmoderno, esasperato dallo sfruttamento editoriale della tragica morte, dalla lettura moralistica del suo impegno e dalla più recente riduzione del corpus in piccoli ritagli, facili citazioni e formule talvolta apocrife che riempiono le bacheche dei social network. A questo poi si aggiungono i diversi tentativi di appropriazione – verrebbe da dire di «omologazione» – del lascito intellettuale da parte delle più disparate tendenze critiche e politiche. Persino alcuni gruppi neofascisti hanno tentato di iscrivere il poeta friulano nel proprio ideale pantheon, segno che, se da un lato ribadisce la povertà culturale della destra italiana, bisognosa di cercare altrove i propri riferimenti, dall’altro mostra la fragilità della ricezione che, a dispetto del successo di pubblico e del forte interesse degli studiosi, fatica a storicizzare Pasolini, a guardarlo dalla giusta distanza e dunque a rimettere a fuoco il suo impegno, la sua contestazione, la sua critica alla società dei consumi nel quadro più ampio del suo lavoro di poeta e cineasta del secondo Novecento.

CI SI CHIEDE ALLORA se il centenario di quest’anno non possa essere l’occasione per tornare a Pasolini con uno sguardo nuovo, capace di svincolarsi dalle stanche letture eroiche o dai ripetitivi tentativi di fare di lui un santino culturale o un presunto profeta delle miserie del presente. I segnali in controtendenza non sono pochi. Fa ad esempio ben sperare la recente pubblicazione delle Lettere (Garzanti, pp. 1552, euro 60), a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini, anche lui poeta, recentemente scomparso dopo aver raccolto per una vita il materiale biografico ed epistolare dell’illustre cugino.
A Naldini si deve anche la prima edizione delle lettere pubblicata da Einaudi, da anni fuori catalogo, di cui il nuovo volume Garzanti costituisce un aggiornamento. Sebbene poco curata negli apparati (un indice più esaustivo avrebbe reso più agevole la consultazione), la nuova raccolta propone una ricca serie di integrazioni, molte delle quali del tutto inedite. Tra queste spiccano i numerosi scambi con Ungaretti, Sereni, Solmi, Soldati e Volponi. Emergono inoltre nuovi documenti sul rapporto del poeta con Contini e Anceschi o ancora con l’editore Garzanti. Relativamente agli anni universitari, il volume aiuta a decifrare meglio i contatti dell’autore con Longhi, a cui si era rivolto inizialmente per la tesi di laurea, e con il suo definitivo relatore, Calcaterra. Dalle lettere della prima maturità si recuperano invece alcune significative informazioni intorno ai rapporti con Dell’Arco, sulla poesia dialettale, e con Eugenio Cirese, sulla poesia popolare, ma soprattutto si ricava un più dettagliato quadro sul lavoro all’interno della redazione di «Officina» e in particolare sugli ultimi numeri della rivista, usciti quando esplodono i dissidi fra Leonetti, Roversi e Fortini (quest’ultimo tra gli interlocutori epistolari più importanti di Pasolini).

A PARTIRE dagli anni Sessanta gli scambi si fanno via via meno fitti, anche se non mancano alcune scoperte riguardo ai rapporti con Elsa Morante o ancora con Maria Callas, a cui Pasolini invia un messaggio esemplare per il modo in cui alterna toni intimi a questioni più strettamente intellettuali, in dialogo con la poesia del periodo. Come questa, molte altre lettere della raccolta descrivono la complessa compenetrazione di biografia e poesia, mettono in risalto la tessitura delle amicizie, dei rapporti e dei sentimenti parallelamente al percorso intellettuale, letterario e poi cinematografico dell’autore. E in questo modo consentono di risalire al momento pre-letterario, pre-artistico, in cui i pensieri, seppure solo sbozzati, sono ancora in divenire e lasciano emergere un’immagine viva e organica: un ritratto simile a un mosaico articolato in tessere che dagli interstizi fanno intravedere le lacerazioni, le ferite e allo stesso tempo il carattere vitalistico e inquieto di Pasolini.

In parallelo con gli scritti giovanili andrebbero per questo analizzate le lettere più intime, come quella dell’autunno del 1946 inviata a Pina Kalc, la donna, scrive Pasolini, «che col suo amore era un continuo rimprovero alla mia natura»; o come la lettera – tra le più belle di tutto l’epistolario – inviata qualche mese dopo a Silvana Mauri, futura moglie di Ottiero Ottieri, dove compare per la prima volta la parola «omosessuale»: «Non allarmarti, per pietà, Silvana, a questa ultima parola: pensa che la verità non è in essa, ma in me, che infine, malgrado tutto, sono largamente compensato dalla mia joy, dalla mia gioia che è curiosità e amore per la vita».
AL BIENNIO 1946-’47 risalgono però anche l’adesione al marxismo e la riflessione su uno dei principali temi della poetica pasoliniana, il «regresso nel parlante», che consiste nel tentativo di immergersi, mediante la parola dialettale, nel mondo dei subalterni, nel loro eros, nel loro modo di sentire il reale, di afferrarlo e di farsene carico anche nella lotta politica. Grazie al dispositivo del regresso, ethos omosessuale e prassi marxista si combinano, entrano in competizione, danno vita a distanziamenti e ricomposizioni che hanno segnato profondamente il lavoro poetico, così come la vicenda biografica di Pasolini.

Un anno cruciale è a questo proposito il 1949, quando esplode lo scandalo di Ramuscello, seguito da quella catena di eventi che ha portato al licenziamento da scuola, alla radiazione dal Pci e all’abbandono di Casarsa, che insieme alla madre Pasolini lascia per Roma. La fitta cronologia redatta da Naldini aiuta a comprendere in dettaglio le diverse fasi dello scandalo, di cui la sezione epistolare include diverse missive, la più nota delle quali è probabilmente quella che Pasolini invia all’ex partigiano comunista Mautino, che ha votato per la sua espulsione. «Malgrado voi», scrive in uno dei momenti di maggiore solitudine, «resto e resterò comunista, nel senso più autentico di questa parola».

L’EPISTOLARIO mostra quanto in realtà la posizione di Pasolini sia stata molto più contraddittoria, attraversata da contrasti talvolta irriducibili, anche nel segno di quell’opposizione «con te e contro te» espressa dal poeta davanti alle ceneri di Gramsci in quello che è forse il suo componimento più celebre. Il profilo che emerge lascia del resto poco spazio a facili semplificazioni, all’uso pop della figura pasoliniana o alle appropriazioni politiche più improbabili.
Non consente certo di farne un autore integralmente marxista, come in parte tentato negli anni appena successivi alla morte, ma neanche di sottrarlo a quest’area, come accade nelle letture più votate alla destorificazione postmoderna.

Nuove integrazioni aiuteranno a precisare ancora più in profondità il carattere di questo scrittore che ha segnato il Novecento italiano. È probabile che qualcosa riservino i cassetti dei membri del Gruppo 63, come Sanguineti ed Eco, o ancora gli archivi dei dirigenti comunisti, specie quelli attivi negli anni della maturità corsara e luterana. Curiosamente mancano le lettere a Morricone, una delle quali già resa nota dal musicista nel suo libro intervista, Inseguendo quel suono. Il volume curato da Giordano e Naldini rappresenta in ogni caso un indispensabile strumento di studio per appassionati e ricercatori, e ha anche il merito di inaugurare il centenario pasoliniano in un’ottica lontana da abusi e manipolazioni.