Nella sua camaleontica vita politica, Roberto Rosso era riuscito, con l’insediamento della giunta regionale Cirio, a ottenere la delega alla Legalità. Una carica che stride con l’inchiesta contro la ‘ndrangheta che ieri ha portato l’ormai ex assessore regionale in carcere per scambio elettorale politico-mafioso.

Secondo gli inquirenti, Rosso avrebbe chiesto voti ai clan per essere eletto in Regione, dove era candidato con Fratelli d’Italia; gli avrebbero chiesto 15mila euro in cambio di un pacchetto di preferenze. Dalle carte risulta che, alla fine, l’esponente di Fdi avrebbe versato 7.900 euro agli intermediari di Onofrio Garcea e Francesco Viterbo («gli si siamo andati incontro» dice quest’ultimo nelle intercettazioni), esponenti di primo piano della ‘ndrangheta piemontese. I soldi nelle intercettazioni diventavano «caramelle». Eletto con 4.477 voti, meno di quanto si aspettasse, dopo l’acconto Rosso non voleva saldare la parte finale. Poi gli hanno fatto sapere che «Francesco era imbufalito nero». E ha pagato.

Politico navigato, che ha attraversato la prima, la seconda e la terza Repubblica, dalla Dc andreottiana alla Forza Italia di Silvio Berlusconi fino ai Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, Roberto Rosso, vercellese di origine e avvocato di formazione, è stato più volte sottosegretario e parlamentare di lunghissimo corso, nonché ripetutamente candidato sindaco a Torino, la prima volta – quando proponeva di cambiare il nome di corso Unione Sovietica, raggiunse il ballottaggio con Sergio Chiamparino – la seconda a malapena il 5%. La sua è una carriera di picchi e di cadute, nell’ultima sua rinascita era stato nominato assessore regionale per i rapporti con il Consiglio regionale oltre che ai Diritti civili e alla Legalità.

Non gli bastavano le cariche, il consenso e, quanto pare, pure i voti. Una figura tanto forte ma diventata imbarazzante da venir liquidata in un lampo dal suo partito e dalla maggioranza in Piemonte, per evitare che trascini tutta la giunta di centrodestra nel baratro. Dal carcere, Rosso si è dimesso. Dimissioni accettate al volo dal governatore Alberto Cirio che si è definito «allibito» («Una accusa di questo tipo è la peggiore per chi vuole rappresentare le istituzioni» ha aggiunto), pagina da assessore cancellata velocemente dal sito istituzionale e post oscurati sulla sua pagina Facebook. Giorgia Meloni l’ha scaricato dicendo di «avere il mal di stomaco». Ma non è un «tutti contro uno». Il berlusconiano Cirio ha rilasciato una seconda dichiarazione in cui ha addossato responsabilità ai meloniani: «Io in giunta volevo gente tutta nuova. Fdi ha deciso di indicare diversamente». A sinistra, Marco Grimaldi di Liberi Uguali Verdi invita il presidente Cirio a dimettersi dopo una vicenda di «una gravità inaudita».

Ci sono foto e video che dimostrano i contatti tra le cosche e Rosso. Come annotano i finanzieri, non poteva non sapere con chi aveva a che fare. Nel 2012, da deputato Pdl, fu tra i firmatari di un’interpellanza dove, nel denunciare l’intreccio fra ‘ndrangheta e politica, si faceva il nome di Garcea. La vicenda che ha coinvolto il politico piemontese è un tassello di «Fenice», un’inchiesta della guardia di finanza con il coordinamento della Dda che, ieri, ha portato in totale a otto arresti e al sequestro di beni per 16 milioni di euro tra imprese, immobili e conti correnti in tutta Italia. Al centro c’è l’attività degli emissari del clan Bonavota (di Vibo Valentia) in provincia di Torino e, in particolare, di Onofrio Garcea. «Ne è emerso – ha spiegato Anna Maria Loreto, procuratore capo a Torino – un fenomeno criminale infiltrato nel territorio a livelli sempre più alti». In manette anche Mario Burlò, imprenditore torinese a capo della Oj Solution con il pallino delle sponsorizzazioni sportive nel basket (Torino, Sassari) e nel calcio (Torres). Garcea, alle ultime regionali, si era interessato anche di un candidato di Forza Italia (oggi consigliere di una circoscrizione a Torino). Sono stati documentati incontri elettorali con onorevoli berlusconiani in cui, tra l’altro, si diceva che «i lavori del Tav devono continuare».