Quando mia moglie ha partorito la nostra prima figlia ho imparato una lezione importantissima.
Dopo nove ore di travaglio, un’epidurale fatta male e un cesareo all’ultimo minuto, ho capito che non esiste una sceneggiatura. O meglio, che ce ne sono tante e si rivelano sempre sbagliate. L’unico consiglio che posso dare a chi si trova in circostanze simili è che ogni gravidanza, ogni parto, come pure ogni bambino, sono differenti. Il nuovo film di Kornél Mundruczó «Pieces of a Woman» è realistico perché riesce a dare un senso a questo caos, a questa casualità – il senso che gioia e tragedia possono essere separati da millesimi di secondo, da frazioni di tempo, il movimento di una molecola. Per questo il film si differenzia da molti altri – in particolare da quelli che arrivano da Hollywood – che sbagliano nel raccontare uno dei momenti più drammatici della vita: il momento in cui la vita nasce – letteralmente. Per prima cosa, la nascita è un tema che viene trattato più di frequente da due generi specifici: le commedie e i film dell’orrore.

Per quanto riguarda le commedie, il travaglio viene descritto da una serie di momenti così riconoscibili da diventare dei cliché. Le acque si rompono di solito in pubblico e con uno splash imbarazzante, il futuro padre va in panico, la donna urla in un’agonia comica e i medici fanno del loro meglio prima dell’uscita del bambino, pulitissimo, da una vagina invisibile (con l’unica eccezione di «Molto Incinta» di Judd Apatow in cui c’è la ripresa della testa della bambina che sta uscendo.) «Nine Months», Che cosa aspettarsi quando si aspetta e «The Women» presentano tutti travagli pieni di sorprese ma paradossalmente uguali. Quando non sorridiamo, trasaliamo, sussultiamo. «Rosemary’s Baby » di Roman Polanski ha mostrato l’idea di una gravidanza demoniaca con Mia Farrow. Il body horror continua con «Alien» in cui John Hurt dà vita ad un xenomorfo.

Chi può dimenticare la scena da incubo in cui Geena Davis partorisce una larva in «La mosca» di Cronenberg? C’è un disgusto profondo per il corpo femminile e il mistero – tutto di regie maschili – della gravidanza ch ha sapore di tabù. Infatti questo tabù esisteva eccome. Nel 1936 iniziò il Production Code- una forma di autocensura adottata dagli studio sotto la pressione di gruppi cattolici. Una guida al codice forniva queste istruzioni: «È completamente accettabile fare riferimento ad un bambino ma ogni riferimento a concepimento, gravidanza e parto è considerato inappropriato per una discussione in pubblico.» Il codice è esistito fino agli anni Sessanta ma la visione immatura della nascita dei bambini è durata molto più a lungo. Con il nuovo film di Mundruczó – scritto dalla sua compagna Kata Weber – abbiamo finalmente una scena di travaglio realistica e drammatica che dà – con i suoi 23 minuti – il giusto peso ad un momento così fondamentale.