Nel panorama cinematografico contemporaneo si stanno delineando sempre di più due modi di esperire il cinema sul grande schermo. Da una parte lo spettatore va, o andrà, al cinema per vedere i film più altamente spettacolari, di puro intrattenimento e con massicci effetti speciali che ne giustifichino il biglietto sempre più caro. Dall’altra piccoli teatri, musei o archivi dove vedere il cinema più indipendente, diaristico, artistico o impegnato. Fanno parte di quest’ultima nicchia distributiva, almeno qui in Giappone, i piccoli eventi o micro festival che si svolgono sempre di più un po’ in tutto l’arcipelago. Si tratta spesse volte di festival a tema e che durano pochi giorni, sostenuti dal volontariato e organizzati in località periferiche o di campagna, dove la grande distribuzione ed i multisala, spesso situati all’interno di enormi centri commerciali, hanno «demolito» i piccoli teatri. Più che festival nel senso che diamo ai grandi eventi cinematografici di Cannes o Venezia per esempio, queste sono più delle proiezioni a tema, un’occasione per (ri)scoprire qualche vecchio film o regista dimenticato o il lavoro di qualche giovane cineasta magari realizzato in crowdfunding.

SPESSO molti di questi lavori sono non-fiction, un genere realizzato con meno spese e meno rischi. Un festival che tocca ed abbraccia tutte queste tematiche, ma che rappresenta anche l’altra faccia della medaglia (si svolge infatti nella capitale ed è strutturato come un evento di grandezza media) è il Tokyo Documentary Festival, la cui prima edizione parte proprio domani primo dicembre. L’evento che andrà avanti per due settimane, dedica un’attenzione speciale alle opere prodotte in Giappone, senza limitarsi alla produzione per il grande schermo, ma allargando sia alla televisione, sia allo streaming che alle opere autoprodotte, corti o lungometraggi che siano.  Interessante in questa prima edizione è una sezione dedicata a riscoprire, da un angolo diverso ed obliquo, le Olimpiadi di Tokyo del 1964, evento epocale per il Giappone contemporaneo, in attesa di quelle imminenti del 2020.

I DUE FILM presentati, entrambi del 1964, prendono in considerazione degli aspetti meno noti del grande evento sportivo. Record of a Marathon Runner di Kazuo Kuroki segue la monotonia degli allenamenti ed il sacrificio quasi senza gioia di un maratoneta, mentre Trasportare le Olimpiadi di Noda Shinkichi il processo di costruzione delle infrastrutture necessarie allo svolgimento dei giochi, camion, cemento e acciaio assurgono qui il ruolo di protagonisti. Non può mancare poi una sezione dedicata al terremoto del 2011, vale sempre la pena ricordare come gran parte dell’energia prodotta dalle centrali di Fukushima fosse utilizzata dalla capitale e non dalle zone vicine, con lungometraggi che esplorano le difficoltà che ancora oggi, dopo sette anni dalla tragedia, molte delle comunità che occupavano le vicinanze di uno dei reattori di Fukushima sono costrette a vivere nel quotidiano. La gamma di documentari presentati è molto varia tematicamente, si va dal video attivismo, ai corti sperimentali, dall’esplorazione della finzione insita nelle immagini di documentazione al video diario. Ma ci sono anche temi più grandi come Okinawa e la sua storia travagliata, una sezione dedicata a lavori girati da registi giapponesi in Africa e un interessante doc in progress che il documentarista giapponese forse più noto all’estero, Kazuo Hara. Da più di dieci anni sta seguendo la situazione attuale a Minamata, la zona colpita dall’immane disastro ambientale causato dal mercurio gettato nelle acque dalla Chisso dal 1932 per decenni, con conseguenze tragiche che si ripercuotono ancora oggi.

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