Il vecchio fuoristrada blu è così pieno di medicinali, bende, scatoloni, che non ci entrerebbe più nemmeno uno stuzzicadenti: Uli e Daniel sono medici specializzati della Ong Flüchtlingshilfe Ruchheim, sono partiti da Ludwigshafen e dopo dieci ore di guida sono arrivati a Trieste. Vogliono vedere il confine italo-sloveno, i boschi e le grotte carsiche dove i migranti si nascondono per sfuggire a polizie ed eserciti e cercare di raggiungere la città e poi un treno che li porti altrove. Un gruppo di medici che girano il mondo, che vanno dove la guerra e il disinteresse degli Stati hanno creato catastrofi umanitarie: Siria, Iraq, Bangladesh, nei campi della Grecia e della Bosnia.

Arrivano anche Jacob e Katharine dall’Austria e fino a notte restano in piazza Libertà dove Lorena Fornasir e i volontari di Linea d’Ombra incontrano ogni giorno decine di migranti appena arrivati. «È sempre la stessa immagine, persone con piccole ferite, punture di insetti o bolle ai piedi che soffrono di infiammazioni gravi e dolorose per la mancanza di igiene e di ogni possibilità di cure tempestive» dice Uli Eisenhofer e si siede vicino a un ragazzo afghano, si fa raccontare la sua storia e resta in silenzio ad ascoltare. Servono una buona pomata, una garza, ma anche una parola, un gesto di vicinanza. Comprano calze per difendere meglio quei piedi martoriati e offrono ancora denaro perché è chiaro che quei migranti magri e spaventati sentono forti i morsi della fame dopo giorni passati a mangiare erba e foglie e a bere da qualche rara pozza fangosa. Lo sanno i volontari di Linea d’Ombra: il cuscus, la frutta, i panini, che sempre qualcuno fa arrivare in piazza, non bastano mai: «Lorena, va a comprare da mangiare a questi ragazzi» dice Uli e Lorena Fornasir torna con pollo e cibo caldo perché cinquanta ragazzi seduti sulle panchine e sull’asfalto possano godersi il loro cibo.

Lorena esprime un misto di emozioni diverse: «Mi sento onorata – dice – per questo aiuto che ci arriva dal centro dell’Europa, da questi professionisti così attenti e solidali» e c’è soddisfazione per l’ennesimo aiuto concreto, per le donazioni, i piccoli e grandi gesti quotidiani.

Ma in lei c’è anche tanta vergogna: «Non è un onore non avere un bagno pubblico, la possibilità di una doccia, un riparo, cibo, acqua. Mi vergogno per le condizioni in cui siamo costretti a lavorare, mi vergogno per questa città». Non esiste un luogo che possa accogliere chi è senza documenti, senza permessi, senza timbri, poco importa se è stato derubato proprio perché non possa chiedere protezione, proprio perché divenga un clandestino. Il pezzo di carta che manca o la volontà di non farsi riconoscere perché si vuole continuare il viaggio, sono le barriere che impediscono alla Caritas o all’Ics di intervenire, quando Trieste rappresenta anche un ben riuscito esempio di accoglienza diffusa.

La strada per Trieste attraversa i Balcani, arriva dalla Bosnia-Erzegovina, la sentinella che vigila sui confini dell’Europa. Cento milioni di euro sono stati destinati alla Bosnia in un anno perché svolga il suo compito e lo racconta bene l’ultimo dossier pubbicato da RiVolti ai Balcani: rendere invivibile il fermarsi come anche il partire. Chi non ricorda le immagini tremende del campo di Lipa in fiamme, mesi fa, e dei profughi dispersi nei boschi sotto la neve? Giovani soli, famiglie e duecento minori non accompagnati, a Lipa, oggi, come fossero scarti, lasciati soli nella loro reclusione.

Non è cambiato niente: ancora tendoni e niente allacci né per l’acqua né per l’elettricità su quell’altopiano isolato in attesa del freddissimo inverno. La Ue gli ha cambiato nome, questo sì, perché adesso è definito «campo di transito», quasi fosse possibile allontanarsi se non rischiando la vita nel «game», ma serviva per abbassare ulteriormente gli standard di sopravvivenza minimi. È questo che vuole l’Europa, per questo paghiamo, tutti, perché i migranti siano tenuti fuori e con il massimo disagio possibile. Si chiama dissuasione.

E invece il viaggio continua, c’è ancora e ci sarà sempre, chi supera le strette maglie dei controlli e dei respingimenti e arriva nella piazza con gli alberi ombrosi e qualche panchina dove una rete di solidarietà c’è, larga e generosa, e non molla, ogni giorno, sempre qui.