«Bisognerebbe arrivare a una civiltà che faccia sì che le donne siano libere di uscire come vogliono, la sera, con la minigonna». In visita a Palermo, il ministro dell’interno Matteo Piantedosi si ritrova a commentare l’ennesimo femminicidio, commesso proprio in Sicilia, nel trapanese. Ma non  sfugge alle contraddizioni del suo governo e le polemiche contro il cosiddetto decreto Caivano non si placano.

IERI AL COMUNE alle porte di Napoli si è presentato il ministro dello sport Andrea Abodi, che dovrà gestire la ristrutturazione del complesso sportivo abbandonato di Parco Verde all’interno del quale sono avvenuti gli stupri. Qui ha incontrato anche don Maurizio Patriciello, il parroco che aveva lanciato il grido d’allarme. Pur rallegrandosi delle attenzioni dell’esecutivo, Patriciello si è detto preoccupato sul fatto che i fondi stanziati dal governo per la ristrutturazione della struttura finiscano alla criminalità organizzata. «Abbiamo avuto questo decreto – dice ancora – certamente poteva essere fatto meglio. La realtà non è fatta solo di arresti, ci vuole altro, ci vuole un supporto alle famiglie che non c’è, abbiamo solo tre assistenti sociali». Di fronte a chi lo critica, Piantedosi prova a giustificarsi così: «Le complessità di questo fenomeno sono tali che non è che pensavamo che con un tratto di penna queste si potessero cancellare».

GIANNA FRACASSI, segretaria generale Flc Cgil, definisce il decreto «un provvedimento finalizzato a contrastare la dispersione scolastica e la vulnerabilità sociale attraverso un approccio securitario e repressivo: prendiamo atto che lo Stato ha deciso di arrendersi rispetto alla prevenzione del disagio e della vulnerabilità sociale». Nello specifico, prosegue Fracassi, mancano interventi profondi e diffusi che prevengano l’emergenza sociale ed educativa che riguarda tanti luoghi del nostro paese e non solo al sud». È un giudizio che rilancia anche la Cgil nazionale: «La risposta che il governo sta dando al disagio giovanile e alle differenze sociali, che crescono anche tra le nuove generazioni, e ai fenomeni di criminalità che coinvolgono minori è ancora una volta profondamente sbagliata – dicono dal sindacato – È ispirata a quella filosofia esclusivamente punitiva che ha contraddistinto, fino a oggi, l’operato dell’esecutivo nell’affrontare le grandi questioni sociali, come le diseguaglianze e la povertà». Anche il sindacato di polizia Siulp, a suo modo frena: «Nella disattenzione generale della politica, non esistono scorciatoie e non vi sono norme repressive che, da sole, possono risolvere il problema del degrado e della devianza giovanile se non sono accompagnate da misure preventive di intervento sul sociale e sulla formazione alla legalità che, contestualmente, offrano ai giovani prospettive di un futuro diverso da quello che vivono, anzi subiscono, negli ambienti degradati di alcune periferie nelle quali vivono».

LE OPPOSIZIONI ne approfittano per provare a contrattaccare. Il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca critica la scelta di nominare il commissario Fabio Ciciliano per gli interventi a Caivano. Dal Pd, Sandro Ruotolo ricorda che «in nessun paese democratico l’aumento delle pene ha ridotto i crimini gravi. In nessun paese democratico l’abbassamento dell’età della punibilità ha ridotto i reati violenti dei minori». A Napoli e provincia, riporta Ruotolo, ci sono «cinquemila minori che hanno a che fare con la giustizia minorile. In Campania 93 ragazzi sono attualmente detenuti di cui 35 accusati di omicidio e tentato omicidio. E pensiamo di risolvere il dramma delle nostre periferie riempiendo le carceri di altri minori insieme ai genitori?». I dubbi iniziano a circolare anche in Forza Italia: il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè manifesta in serata il suo malumore. Il deputato di Azione Enrico Costa sottolinea come «Piantedosi spiega che la possibilità di arresto in flagranza dei minori è introdotta ‘per fattispecie che finora prevedevano l’assoluta assenza di punibilità del minore nell’immediatezza’. L’arresto come pena immediata. Manco Bonafede». Il riferimento è al ministro della giustizia del M5S nel governo con la Lega. Un guardasigilli non proprio attento alle ragioni del garantismo.