Chiedere ad Albert Bourla se avremo bisogno di una quarta dose di vaccino anti-Covid è come domandare all’oste se il vino è buono. E infatti la risposta dell’amministratore delegato della Pfizer è scontata: «Secondo noi è necessaria» ha detto alla rete televisiva statunitense Cbs. «Stiamo inviando in questi giorni i dati alla Food and Drug Administration», l’ente che autorizza farmaci e vaccini per gli Usa. I dati sono stati raccolti – come sempre – in Israele, dove 1,1 milione di persone con più di 60 anni di età ha già ricevuto la quarta dose. Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio, il rischio di contagiarsi risulta dimezzato in chi ha ricevuto la quarta dose, e quello di sviluppare sintomi gravi è quattro volte inferiore, rispetto a chi ha ricevuto «solo» tre dosi.

Come sanno molti esperti di marketing farmaceutico, la riduzione del rischio è un parametro poco significativo in sé. La riduzione del rischio, per esempio, si dimezza se l’efficacia del vaccino sale dal 40% al 70%, ma anche se passa dal 98% al 99%, nonostante si tratti di uno scenario molto diverso. Tuttavia, pochi dubitano che la Fda dia l’ok, così come farà l’Agenzia Europea del Farmaco.

L’URGENZA della «quarta dose» suonerà beffarda a gran parte degli africani, dove 4 persone su 5 stanno ancora aspettando la prima dose. Le disuguaglianze vaccinali non accennano a diminuire, dopo due anni di pandemia. Il programma Covax dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha mancato ogni obiettivo. Al suo lancio, all’inizio del 2021, mirava a consegnare 2 miliardi di dosi ai paesi partecipanti, per lo più a basso reddito.

Visto che alla fine dell’anno le dose consegnate erano circa la metà del previsto, l’8 settembre del 2021 l’obiettivo era stato spostato al primo trimestre del 2022. Ma ora che il trimestre sta finendo, i numeri ufficiali dicono che di dosi ne sono state consegnate 1,4 miliardi, cioè il 70% di quanto pianificato.

Il risultato è che nei paesi a basso reddito i vaccini arrivano ancora con il contagocce, mentre quelli ricchi hanno accaparrato dosi a sufficienza per effettuare il richiamo a tutta la popolazione.

In Africa solo il 18% della popolazione ha ricevuto almeno una dose. Le dosi inviate all’Africa (692 milioni secondo il Centro africano per il controllo delle malattie) sono la metà dei richiami già somministrati nel resto del mondo (1,4 miliardi di dosi). Ogni giorno, in Africa vengono somministrate 130 dosi ogni centomila persone, mentre la media mondiale è di 210 dosi per centomila persone. In altri termini, si fanno meno vaccinazioni laddove ce n’è più bisogno. Eppure le dosi non mancano: in tutto il pianeta finora ne sono state somministrate 11 miliardi, abbastanza per coprire tutta la popolazione al di sopra dei 12 anni di età. Il problema è che la loro distribuzione ricorda quella dei polli di Trilussa.

ANCHE L’ALIBI vagamente razzista, secondo cui il Covid-19 in Africa sarebbe stato più lieve e avrebbe reso più sopportabile la mancanza di vaccini, si è dimostrato infondato. Uno studio pubblicato su The Lancet pochi giorni fa ha mostrato che nel biennio 2020-2021 l’eccesso di mortalità in Africa (in gran parte dovuto al Covid-19) è stato paragonabile a quello europeo, nonostante un’età media della popolazione decisamente più bassa (43 contro 18 anni). Perciò una distribuzione più equa dei vaccini, gestita da autorità sanitarie pubbliche e non dalle strategie delle aziende farmaceutiche, avrebbe davvero ridotto il tributo di vite umane.

L’ANDAMENTO del virus però non induce grande ottimismo. Ieri in Europa e Asia i nuovi casi sono tornati a salire (in Italia, oltre 72 mila in 24 ore). In aree come Hong Kong, dove la percentuale di persone fragili vaccinate è molto bassa, si registrato tassi di mortalità elevatissimi, vicini al 5%, a riprova che la minore gravità della variante Omicron registrata in Europa è dovuta all’immunità pre-esistente. Se le prossime settimane confermeranno questo trend, è possibile che i governi dei paesi ricchi corrano ai ripari e tornino ad accumulare vaccini per prevenire potenziali ondate.

Fatta eccezione per i pazienti fragili, nei paesi con un alto tasso di vaccinati i richiami con gli attuali vaccini comportano un beneficio decrescente: nel giro di pochi mesi la capacità di frenare il contagio si riduce fortemente, mentre l’efficacia nei confronti della malattia grave rimane elevata anche in chi ha fatto solo le prime dosi.

«Non credo che inseguire un numero di dosi sempre maggiore sia la soluzione per Omicron o future varianti», ha detto a Nature Gagandeep Kang, virologo al Christian Medical College di Villore (India). Estendere le vaccinazioni in Africa, invece, allargherebbe anche al miliardo di africani non vaccinati i benefici di cui hanno goduto i paesi ricchi nel 2021.