Eppure, nonostante i valori allarmanti, dal 2017 la Regione Veneto non ha effettuato ulteriori monitoraggi né intrapreso azioni risolutive per azzerare l’inquinamento e ridurre, almeno progressivamente, la contaminazione delle acque non destinate all’uso potabile. Inoltre, per quanto è noto, risulta che la Regione abbia finora ignorato il rischio per l’intera comunità nazionale e non solo, visto che alcuni di questi alimenti potrebbero essere venduti anche all’estero.

Si tratta di mancanze intollerabili: chi è responsabile della salute pubblica ha il dovere di fare tutto il possibile per affrontare concretamente un problema sanitario così rilevante. Tutto ciò nonostante nel 2020 l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) abbia ridotto di più di quattro volte il limite massimo tollerabile di Pfas che possono essere assunti attraverso la dieta.

È inaccettabile che la Regione non abbia effettuato nuove valutazioni né messo in atto azioni concrete per tutelare la popolazione e le filiere agroalimentari e zootecniche. Il più recente parere dell’Agenzia europea ha fissato l’assunzione settimanale tollerabile (Tolerable weekly intake, TWI) attraverso la dieta a 4,4 ng/kg di peso corporeo per quattro molecole (Pfoa, Pfos, Pfna, Pfhxs). A titolo di esempio una persona di 60 Kg di peso può assumere, per rientrare nella soglia tollerabile stabilita da Efsa, fino a un massimo di 264 nanogrammi di Pfas ogni settimana: basterebbe consumare in questo lasso di tempo mezzo chilo delle albicocche più contaminate per superare il valore di sicurezza.
Si segnalano inoltre alcuni evidenti limiti sul monitoraggio effettuato dagli enti pubblici e nello specifico riguardo l’area geografica in cui sono stati prelevati i campioni, che non include la zona arancione e altre aree toccate dalla contaminazione. È insufficiente inoltre l’analisi su importanti produzioni diffuse nelle zone interessate: spinaci e radicchio (un solo campionamento effettuato), kiwi, meloni, angurie, cereali (è stato analizzato solo un campione di farro), soia e mele.

Vista la rilevanza del problema sanitario, Greenpeace Italia e Mamme No Pfas chiedono di affrontare la situazione in modo congruo, mettendo in atto tutte le migliori strategie e misure per tutelare la cittadinanza. I due gruppi chiedono quindi alla Regione Veneto di avviare al più presto un nuovo monitoraggio sugli alimenti prodotti in area rossa e arancione e, partendo dai dati del 2017, di adottare misure urgenti per ridurre i rischi per la salute delle persone. In base ai dati resi pubblici è lecito ipotizzare che la mappa dell’emergenza sia ben più grande. Bisogna quindi mettere in atto tutte le misure necessarie per tutelare i produttori locali oltre ad evitare che la contaminazione colpisca in modo massiccio, attraverso il consumo di alimenti, tutta la popolazione nazionale e non solo. Infine, considerando che la valutazione degli effetti sanitari dei valori di contaminazione diffusi oggi è molto complessa, Greenpeace e Mamme No Pfas fanno un appello alla comunità scientifica affinché analizzi l’intero set di dati per condurre un’analisi approfondita sui possibili rischi per la salute.

* Responsabile campagna inquinamento Greenpeace