Difficili da pronunciare, altrettanto da comprendere, i Pfas (composti poli e perfluoroalchilici) sono estremamente persistenti in natura e nocivi per l’organismo, forti di quel legame indissolubile tra carbonio e fluoro che li caratterizza. Definiti il veleno del nostro secolo, hanno le radici salde in quello passato, quando dagli anni Quaranta incominciarono a essere prodotti e poi a diffondersi in ogni angolo del pianeta. Per comprenderli e per contrastarli, Giuseppe Ungherese – responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia dal 2015 – ha scritto Pfas. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua. Storie di diritti negati e cittadinanza attiva (Altreconomia), un viaggio storico-sociale tra le zone più colpite dal male e le popolazioni che si sono ribellate ai forever chemicals e alle aziende che li producono.

Come nasce questo libro e perché ha scelto un registro narrativo che alterna conoscenza scientifica, testimonianze e impegno civile?
È un tema che seguo da tanti anni, molto complesso e tecnico, ma che si intreccia alla vita vissuta delle persone e alla difesa dei diritti minimi essenziali ovvero che il cibo e l’acqua che utilizziamo non siano contaminati. Abbiamo più prove che in passato ma è una questione che richiede ancora conoscenze e allo stesso tempo pesa già sulla vita di migliaia di persone. La scoperta del problema Pfas avvenne grazie a un ostinato agricoltore e a un tenace avvocato che negli Usa sollevarono il Caso DuPont.

Come iniziò la loro battaglia?
Si deve a Wilbur Tennant, un allevatore del West Virginia, e a Robert Bilott, avvocato di Cincinnati, quello che oggi sappiamo su queste sostanze. La loro storia sembra una sceneggiatura di un film: un agricoltore vede morire le proprie mucche di un male ignoto e silenzioso e trova sulla sua strada un avvocato che fino allora difendeva le aziende della chimica nelle contese con l’Epa (l’agenzia nazionale americana per la protezione dell’ambiente). La vicenda di Tennant colpisce il legale che decide di aiutarlo nella battaglia. Confrontandosi con una multinazionale potente come DuPont, si troveranno di fronte a un muro di gomma, ma riusciranno a svelare il marcio. Hanno portato a galla una conoscenza ignota anche alla stessa Epa, ma dei cui effetti nefasti le aziende produttrici erano consapevoli. Le aziende hanno adottato campagne pubbliche di manipolazione delle informazioni scientifiche per continuare a massimizzare i loro profitti, producendo distorsioni nel dibattito scientifico sulla salute pubblica.

Una storia che, in un certo senso, ricorda quella dell’Eternit, che consapevole dei rischi non fermò la produzione. È così?
C’è una grande sovrapposizione tra le due storie anche in termini di inquinamento del dibattito pubblico, con dati taciuti e forti influenze sui decisori politici. Philippe Grandjean, uno dei massimi esperti di medicina ambientale al mondo, intervenendo al processo sul caso Miteni a Vicenza, ha detto che i Pfas sono il nuovo amianto in quanto non responsabili di effetti acuti e immediati bensì sul lungo termine.

Non sembra ci siano zone al mondo esenti da contaminazione, quali sono le più colpite?
Non abbiamo un quadro chiaro non solo del mondo ma nemmeno più specificatamente dell’Italia. Abbiamo maggiori informazioni per quanto riguarda il nord del pianeta, dove le grandi aziende hanno le loro sedi produttive. Possiamo considerare delle aree hotspot che in genere sono ubicate vicine agli stabilimenti specializzate nella sintesi di queste molecole: alcuni distretti di Ohio e West Virginia, Dordrecht in Olanda, Anversa in Belgio. Casi ne troviamo nel Regno Unito come in Italia viste le note situazioni di Trissino (Vicenza) con la fabbrica Miteni e a Spinetta Marengo (Alessandria) con la Solvay.

Cosa unisce il caso in Veneto, responsabile dell’inquinamento delle acque potabili, e quello in Piemonte, dove l’impianto in questione ha una storia secolare?
Le due aziende hanno spesso lavorato assieme: Miteni come fornitore di Solvay. Se in Veneto l’inquinamento è avvenuto soprattutto nell’acqua potabile, nell’Alessandrino si è verificato maggiormente per via aerea a causa delle ciminiere dello stabilimento, molto datato e storicamente legato alla chimica. Il sito industriale di Trissino parte, invece, dal settore tessile e decide di autoprodursi, ai tempi della Rimar (acronimo di Ricerche Marzotto), queste molecole per i tessuti impermeabili. Spostato e collocato dov’è attualmente, ha visto passaggi di proprietà: Miteni è l’unione di Mitsubishi e Eni, fino all’ultima proprietà da parte di una holding lussemburghese.

Nel libro presta molta attenzione alle storie di attivismo, quanto è importante la cittadinanza attiva in questa battaglia e quali le storie che più l’hanno colpita?
È fondamentale. Da Bilott e Tennant fino alle mamme No Pfas, la regolamentazione finora ottenuta la dobbiamo alle persone che si sono viste entrare in casa – e nel sangue dei familiari – un nemico ignoto e insidioso. Non si tratta di facinorosi ambientalisti ma di infermieri, insegnanti, dipendenti di aziende che si sono messi in gioco in prima persona. Mi viene in mente Michela, mamma No Pfas, che si è vista crollare il mondo dopo gli esiti del sangue della figlia con concentrazioni enormi di Pfoa (una sostanza del gruppo Pfas): è andata fino a Strasburgo per farsi sentire. Oppure Marzia, attivista di una rete di gruppo di acquisto solidale vicentina, che si è battuta per il riscatto degli agricoltori locali.

Alcuni Pfas sono cancerogeni per l’essere umano, è arrivata la conferma dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro dell’Oms. Quali gli effetti sul corpo umano?
Si scoprono di volta in volta e la scienza sta facendo uno sforzo incredibile. I Pfas sono interferenti endocrini, sostanze subdole in grado di alterare i processi dell’organismo che coinvolgono gli ormoni, dalla crescita al metabolismo alla fertilità. Negli adolescenti maschi che hanno alti livelli di contaminazione del sangue si è notato uno sviluppo del seno in altri un elevatissimo livello di colesterolo. Specificatamente, il Pfoa è stato considerato cancerogeno e collegato al cancro ai reni e ai testicoli. L’unica soluzione è non essere esposti a queste molecole.

La legislazione è in ritardo, cosa fare per la messa al bando?
Quella è la via maestra. I Pfas vanno regolamentati come gruppo e non come molecola di volta in volta. Sono fiducioso perché in Europa si è avviato un processo virtuoso con la richiesta da parte di cinque Paesi – Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia – ma non l’Italia di messa al bando. Si deve perseguire un approccio basato sull’uso essenziale ovvero laddove ci sono validi sostituti bisogna eliminarne l’uso e le produzioni, laddove questi non esistono come per esempio gli stent coronarici bisogna lavorare tramite la ricerca per trovarli.