Ottomila documenti. Una pila di carta di diversi metri di altezza. È la quantità di dossier che i servizi di sicurezza militare – l’ex Sismi, oggi Aise – ha accumulato su fatti attinenti in qualche maniera l’esecuzione del 20 marzo 1994, che colpì Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Una mole di documentazione che è stata «esibita alla commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole Taormina», come ha raccontato il generale Adriano Santini il 20 marzo del 2012, durante l’udienza per calunnia nei confronti di Ahmed Alì Rage, detto Gelle. Da quella impressionante pila i consulenti della Camera selezionarono 1500 documenti, riversati negli atti della commissione d’inchiesta e ancora in gran parte coperti da segreto.

Non c’è solo quest’eredità tra le carte di Palazzo San Macuto – sede degli archivi della Camera – dove hanno lavorato le 5 commissioni oggi interessate all’operazione di discovery chiesto da Greenpeace e avviato dalla presidente Laura Boldrini. Consultando gli indici della documentazione – che riportano il titolo dei documenti, spesso molto vaghi, e da chi sono stati prodotti – acquisita dagli anni 90 in poi appare evidente la resistenza nel divulgare segreti, non sempre banali, sulla storia italiana recente.

L’elenco degli omissis è senza fine. L’ultima commissione d’inchiesta sui rifiuti – presieduta da Gaetano Pecorella – ha affrontato con cura il nodo dei traffici internazionali di scorie. Su questo crocevia fatto di faccendieri, navi che sparivano, carichi velenosi spediti in tutto il mondo, terre contaminate e omicidi eccellenti i parlamentari si sono imbattuti in tre casi ancora aperti. Il primo è quello dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. C’è poi la morte per avvelenamento del capitano Natale De Grazia. E, infine, il traffico via mare di scorie, con il sospetto affondamento di decine di carrette cariche di veleni nel Mediterraneo. Inchieste che s’intrecciano al commercio di armi destinate ai paesi in conflitto, colpiti da embargo. Come la Somalia, parola che più ricorre nell’elenco dei documenti ancora oggi coperti da segreto.
Quanti sono questi dossier segreti? Di certo molti di più rispetto all’elenco che proposto all’ufficio di presidenza. L’indice dei documenti sulle navi dei veleni acquisiti dalla commissione Pecorella elenca più di 600 fascicoli classificati come “segreti” o “riservati”. Un vincolo che impedisce a tutti – giornalisti, magistrati, deputati – di leggere le notizie contenute. Sono stati acquisiti durante le audizioni del magistrato Francesco Neri (che nel 1995 era titolare dell’inchiesta affidata, tra gli altri, al capitano De Grazia), dell’allora presidente del Copasir (il comitato di vigilanza sui servizi) Massimo D’Alema (che ha prodotto 146 documenti classificati) e del generale Adriano Santini, ex direttore dell’Aise (quasi 500 fascicoli sottoposti a segreto).

I temi hanno come centro di gravità i traffici di armi e rifiuti. Ci sono almeno un centinaio di dossier su Giorgio Comerio, il tecnico che aveva creato la società Odm, pronta ad affondare in mare siluri carichi di scorie radioattive. In Italia è stato condannato solo per tentata estorsione, come ha già raccontato il manifesto. I procedimenti sul traffico di rifiuti nati prima a Reggio Calabria e poi, nel 1997, davanti alla procura del Canton Ticino sono stati archiviati. Di certo i suoi affari erano seguiti dai nostri servizi, stando alla mole d’informazioni coperte da segreto riversata dall’Aise. Ci sono poi decine di note su Giancarlo Marocchino, l’imprenditore italiano che per primo è intervenuto sul luogo dell’agguato e che – secondo un rapporto della polizia somala – avrebbe chiamato Ilaria Alpi poco prima.

E ancora, ci sono informazioni sulla nave Rigel (affondata nell’87), sulla Jolly Rosso, sulla Zanoobia, il cargo che riportò in Italia migliaia di fusti spediti in Venezuela dalle industrie italiane. E poi le armi: tantissime le informazioni che l’Aise ha consegnato alla commissione sui traffici di materiale bellico, con riferimenti a noti broker, come Sanjivan Ruprah, collaboratore di Victor Bout, il trafficante russo che ispirò il film Lord of war, arrestato dalla Dea nel 2008. Armi e rifiuti, traffici internazionali, rotte di veleni coperte da omissis, mentre tra pochi giorni verrà celebrato, proprio alla Camera, il ventennale della morte di Ilaria e Miran.

I servizi di sicurezza hanno sempre garantito di aver prestato la massima collaborazione sul caso: «Non c’è nessun segreto di Stato», ha garantito l’ex direttore dell’Aise in tribunale nel marzo del 2012. Eppure ci sono note mai divulgate. Come due informative dei centri Sismi di Trieste e di Firenze, ricordate dal legale della famiglia Alpi Domenico D’Amati durante uno dei tanti processi sull’agguato di Mogadiscio. Raccontavano del traffico di armi a Bosaso – ha spiegato in udienza l’avvocato – e dell’interesse di Ilaria per quell’inchiesta. Pezzi di verità mai venuti a galla e forse nascosti tra le carte di palazzo San Macuto.