Anche se prediligeva la musica classica, il nome del filmmaker inglese Peter Whitehead – scomparso a 82 anni – è associato al rock’n’roll: ai Rolling Stones, la Swinging London degli anni Sessanta, Syd Barrett, i Beach Boys, Jimi Hendrix, i Led Zeppelin che filmò dal vivo e dietro le quinte nel corso degli anni – e ai molti cortometraggi musicali che ne fecero il precursore dei videoclip.
Nato nella Liverpool proletaria del 1937, figlio di un idraulico, si trasferisce a Londra quando il padre torna dalla seconda guerra mondiale e riesce a studiare nelle migliori scuole e università inglesi – Cambridge compresa – sempre grazie a delle borse di studio per merito: abbandonati gli studi di matematica e chimica si iscrive alla londinese Slade School of Art, dove è uno dei primi a iscriversi ai corsi di cinema tenuti dal regista Thorold Dickinson.

Nel 1965 filma alla Royal Halbert Hall l’International Poetry Incarnation, un incontro di poeti della Beat Generation – tra i quali Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti – e il breve documentario che ne trae, Wholly Communion, spinge il manager dei Rolling Stones Andrew Loog Oldham a invitarlo a prendere parte al tour della band in Irlanda del 1965. Charlie is my Darling, il film che documenta quell’esperienza, è uno dei primi documentari musicali on the road e con uno sguardo ravvicinato sulla band che sarà il punto di riferimento del «genere» negli anni a venire.

ED È SOLO l’inizio di un lungo rapporto con gli Stones, per i quali Whitehead girò e anche il video di We Love You nel quale Mick Jagger, Keith Richards e Marianne Faithful sono gli interpreti di una rivisitazione del processo a Oscar Wilde.
Nel 1968 Whitehead – acceso oppositore dell’imperialismo Usa e della guerra in Vietnam – è in America su invito di Peter Brook a filmare l’occupazione della Columbia University. Al documentario – The Fall (1969) – prendono parte anche Robert Kennedy, Mark Rudd, il Bread and Puppet Theater, Paul Auster, ma le riprese terminano con l’omicidio di Bobby Kennedy e Martin Luther King – e dopo questa intensa esperienza il suo lavoro come filmmaker diventa più rarefatto. Al cinema del regista inglese «il manifesto» dedicherà domani un lungo approfondimento.