In qualunque cinefilo il nome di László Löwenstein in arte Peter Lorre (1904-1964) evoca subito alcune figure e film celeberrimi della storia del cinema – così, via via, dal maniaco assassino di bimbi in M – Il mostro di Düsseldorf (1931) di Fritz Lang al misterioso Abbot de L’uomo che sapeva troppo (1934) di Alfred Hitchcock o al personaggio di Raskolnikov in Ho ucciso! (1935) di Josef von Sternberg. Ma anche opere, oggi forse meno note, come il noir L’uomo della maschera (1941) o l’horror Il mistero delle 5 dita (1946), entrambi diretti da Robert Florey, e ancora altri titoli da riscoprire nella rassegna «Peter Lorre, straniero in terra straniera» curata da Alexander Horvath.

Di sicuro assai poco conosciuta è, invece, la sua avventura straordinaria ma limitata ad un solo film, di regista nella neonata Germania Federale del 1951 con Der Verlorene (L’uomo perduto), presentato ora a Bologna in una bella versione restaurata.

Il film si riallaccia se non proprio in maniera diretta a quella che è restata l’interpretazione più celebre del grande attore e che ne aveva segnato anche una sorta di maledizione, connotandolo profondamente, nel proseguo della sua carriera. Parliamo del protagonista di M, ispirato a un vero serial-killer dell’epoca, Peter Kürten, soprannominato il Vampiro di Düsseldorf (da ciò il perché del titolo italiano di un film ambientato a Berlino) che condannato per nove omicidi e molti altri tentativi di assassinio venne giustiziato nel luglio 1931, a film ormai uscito nelle sale.

Nella sottile descrizione delle azioni della malavita comune, il capolavoro di Fritz Lang costituiva, però, anche un campanello d’allarme premonitore del gangsterismo politico che di lì a poco avrebbe portato al potere Hitler in Germania.

Paradossalmente – ma forse non tanto – rientrato in patria all’inizio degli anni Cinquanta dall’esilio hollywoodiano, Peter Lorre torna in questo film che dirige oltre ad interpretare, proprio sul rapporto tra un uomo diventato un assassino seriale e il sistema politico-sociale che ha prodotto la sua ossessione omicida.

Partendo da casi reali, come si legge in un cartello dei titoli di testa («Il film non è frutto di fantasia, gli eventi si basano su fatti avvenuti negli ultimi anni»), vi si racconta di un medico e scienziato, il Dr. Karl Rothe (Lorre appunto) che nel 1943 si era trasformato in un assassino seriale a causa di un gravissimo shock emotivo provocato dal coinvolgimento di una donna a cui era legato, in una fosca vicenda legata allo spionaggio e agli spicci metodi dei nazisti.

Questa bella opera di debutto – antesignana di un cinema impegnato nell’elaborazione del passato ma poi restata quasi isolata nella produzione cinematografia tedesca dell’epoca votata in toto (o quasi) al puro intrattenimento – rappresenta un film sull’ossessione di morte contestualizzata però dentro la macchina diabolica della guerra e del nazionalsocialismo. È sostanzialmente un dialogo a due voci, costruito sull’opposizione tra lo scienziato e il suo assistente Hösch (Karl John), spia del potere nazista.

Narrato dalla prospettiva dell’immediato dopoguerra dove i due personaggi hanno cambiato nome per rendersi irreperibili, Der Verlorene è così un noir sociale che nel descrivere il diagramma psichico di un killer, indaga sull’ambiguità morale seguita alla fine del «Dodicennio nero» e sulle conseguenze morali lasciate in eredità dal regime hitleriano alla coscienza dei sopravvissuti.

Fotografato in uno splendido bianco&nero, il film di Peter Lorre, è purtroppo rimasto un dolmen isolato, un film che nessuno voleva vedere all’epoca tanto che l’insuccesso al box-office ha scoraggiato il suo autore a proseguire ulteriori esperimenti di regia. Un autentico peccato visto questo primo grande risultato.