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«Se pensate agli ultimi 12 film che avete visto, scommetto che erano pieni di sesso e morte. Morte e sesso: i miei due temi preferiti». É per bocca stessa di Peter Greenaway che ci viene fornita la chiave per guardare tutti i suoi film, ovvero la fascinazione per quelli che secondo il regista gallese sono «gli unici due veri argomenti». Lo stesso si può dire del suo ultimo Goltzius and The Pelican Company, al Teatro Argentina da oggi fino al 16 novembre e da gennaio in sala. A teatro perché come tutti i film di Greenaway nasce da una commistione, cinema,teatro, pittura,architettura. Con Goltzius siamo di nuovo nel campo degli artisti fiamminghi, dopo il film su Rembrandt – Nightwatching – del 2007. Hendrik Goltzius è un incisore, non un pittore, ma i due film sono accomunati da qualcosa di più dell’interesse che ha Greenway per l’arte olandese. «Fare il film su Rembrandt mi è piaciuto talmente che ho voluto fare di nuovo qualcosa del genere. Non si può girare due volte lo stesso film, ma si può provare ad utilizzare la stessa mise en scene, la stessa atmosfera, e fino ad un certo punto le stesse idee».

Nel film, Goltzius e la sua Pelican Company, determinati a trovare un finanziatore per la loro attività di incisori, si rivolgono al Mangravio d’Alsazia, che in cambio chiede alla compagnia di inscenare per la sua corte alcuni dei passaggi più noti dell’Antico Testamento. Alla base dei miti portati sulla scena stanno i «peccati» sessuali principali: il voyeurismo di mettere in scena il primo atto sessuale tra Adamo ed Eva – in cui Pippo DelBono interpreta sia Dio che il diavolo – l’incesto di Lot e le sue figlie per ripopolare le città bibliche – Sodoma e Gomorra – distrutte dalla furia divina, e così via.

Più che l’ambientazione, ad accomunare profondamente Goltzius and The Pelican Company e Nightwatching è la capacità dell’arte di svelare l’inerente e paradossale debolezza del potere, i suoi connaturati punti di cedimento. Qui è il sesso e la performance teatrale, e la performance del sesso, ad insinuare il disordine a corte finché realtà e finzione non si sovrappongono del tutto, e sesso e morte passano senza soluzione di continuità tra palco e pubblico. «Balzac ipotizzava che oltre a sesso e morte ci fosse un terzo tema centrale, il denaro, ma il denaro non è esistito per molto tempo e talmente tante persone stupide ce l’hanno che non può essere veramente importante», osserva il regista. «Poi ci sono le tragedie di Shakespeare, incentrate sul potere, ma non è forse il potere un modo di negoziare con il sesso e la morte, se non altro per evitare l’una e pagare l’altro? Quindi penso che questi due argomenti, soldi e potere, siano molto affascinanti, ma neanche lontanamente potenti come eros e thanatos, che sono fondamentalmente non negoziabili e di cui non sappiamo nulla, perché sia il principio che la fine sono fondamentalmente inconoscibili».

Con la sua consueta attenzione per la storia dell’arte, Greenaway porta dunque ancora una volta sullo schermo questi due estremi della vita umana, che a suo dire emergono con particolare virulenza in tempi di transizione come quelli vissuti dai protagonisti del film – interpretati da un cast per gran parte italiano – ovvero il tardo Cinquecento manierista, che per tanti versi ricorda i giorni in cui viviamo. «In termini di storia dell’arte ci sono periodi di elevata consapevolezza culturale, il Rinascimento, il Barocco, il Rococò, il Neoclassicismo… Ma per me ciò che è veramente interessante sono i periodi nel mezzo, e penso che anche noi ci troviamo in uno di questi momenti di transizione. Credo che il primo responsabile del manierismo sia proprio Michelangelo: nella Cappella Sistina si può vedere come stesse iniziando a distorcere le figure, ad essere ossessionato da un immaginario sessuale, cose che poi divennero le caratteristiche principali del manierismo». Cioè un’epoca in cui, morte le grandi figure di riferimento, « i pittori e gli artisti si chiedono ‘che facciamo ora?’. E questa era una considerazione tipica del manierismo, che divenne incredibilmente esotico, per cui persone come Pontormo o Parmigiano si castigavano, praticavano l’autolesionismo o il digiuno, entravano in stati isterici per poter combattere il passato e trovare nuovi modi di esprimersi. Ed ovviamente uno degli aspetti principali è che nel 1517 Lutero dà vita al protestantesimo, mentre la maggior parte delle opere manieriste erano di competenza cattolica, nate dalla Controriforma, un disperato tentativo di incoraggiare le persone a tornare al cattolicesimo. I dipinti diventarono isterici, pieni di sangue, violenza, martiri, torture…».

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Sevizie ed espressioni mortifere vengono riprodotte con una forte dose di ironia nel film, ma sono metafore del mondo in cui viviamo pronte, come sullo schermo a tramutarsi in realtà. Ma senza alcun pessimismo:come l’incisore vedrà infine soddisfatte le proprie richieste e potrà dedicarsi alla produzione di stampe erotiche per cui è rimasto nei libri di storia, Greenaway guarda alla fase di passaggio dei nostri giorni con trepidante eccitazione. «I periodi in cui manca la consapevolezza culturale sono molto stimolanti perché le persone sperimentano, provano ad essere radicali, provano a trovare nuovi aspetti delle vecchie abitudini. Ed ora abbiamo questo nuovissimo strumento incredibilmente eccitante che è la rivoluzione digitale. Riuscite ad immaginare ciò che Michelangelo avrebbe fatto con un computer?».

Guardando avanti e ai progetti futuri – tra cui un film su Ejeznstejn candidato al concorso del Festival di Berlino – Peter Greenaway non teme il mondo postmoderno – «parola orribile», lo definisce – che offre invece la possibilità di sperimentazioni sempre più radicali. «Penso che l’aspetto straordinario del linguaggio digitale sia che consente di abbattere tutte le barriere: puoi parlare di opera, teatro, siti web, e la rivoluzione digitale nel suo insieme. Nel mio film su Ejzenstejn grazie a questa tecnologia si vedranno insieme sullo schermo il vero regista russo e l’attore che lo interpreta. Mi piace pensare che sia un nuovo modo di usare il linguaggio, una nuova avventura».