L’Onu ha approvato con grande enfasi gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Ad applaudire sono stati anche quei presidenti che, per le loro politiche neoliberiste, rendono invece insostenibile la vita delle popolazioni locali, lasciando mano libera alle multinazionali. E così, in Perù, non si ferma la protesta nella regione meridionale di Apurimac. Da giorni, gli abitanti di Cotabambas e Grau si scontrano con la polizia per contrastare il progetto minerario La Bambas. Gli agenti hanno sparato sulla folla, provocando 4 morti. Una ventina i feriti e 30 gli arrestati. In gravi condizioni anche due poliziotti. Venerdì scorso, un arco di organizzazioni sociali ha dichiarato uno sciopero nelle due province interessate dal progetto. Una decisione presa al termine di un incontro con la controparte, il 12 settembre, giudicato insoddisfacente. Domenica scorsa, oltre 10.000 persone hanno manifestato pacificamente a ridosso dell’area delimitata dalla compagnia proprietaria, l’australiana Mgm Limited, filiale della China Minmetals Corp. Un gruppo ha poi cercato di forzare il cordone dei 3.000 agenti a guardia delle istallazioni. La polizia ha dapprima risposto con i lacrimogeni e poi con le armi. I manifestanti sono comunque riusciti a occupare l’area protetta.
Secondo i rappresentanti del Fronte di difesa del distretto di Tambobamba, l’impresa ha mentito nel presentare lo studio di Impatto ambientale, nel 2013: per nascondere l’entità dei disastri che l’attività mineraria avrebbe provocato nella regione. Il giacimento è situato a oltre 4.000 metri sul livello del mare ed è destinato a diventare una delle miniere di rame più grandi del mondo. La Bambas ha riserve per 6,9 milioni di tonnellate di rame e 10,5 milioni di tonnellate di risorse minerali e, nei primi cinque anni, dovrebbe produrre oltre 2 milioni di tonnellate di rame. Il governo lo ha presentato come «il progetto minerario più importante nella storia del Perù», il secondo per importanza in America latina: per cui è previsto un investimento di 10.000 milioni di dollari e che produrrà una crescita del Pil dell’1,4% il prossimo anno. L’impresa ha respinto le accuse e il Ministero dell’Energia e delle Miniere ha assicurato che, dal 2012, vi sono stati tre tavoli di dialogo con le popolazioni locali e che si deve tornare a discutere. Il progetto ha avuto una lunga gestazione. La cinese Xstrata Copper ha ottenuto il permesso di agire nella Bambas nel 2004 e ha iniziato le perforazioni nel 2008. Le cose sono però precipitate dopo la fusione tra l’australiana Glencore e la Xstrata. Per via delle leggi antimonopolio vigenti in Cina, quest’ultima ha dovuto vendere il progetto. Nel 2014, la Bambas è così stato comprato da un consorzio di imprese che ha apportato modifiche, contestate dalle comunità contadine della zona.
In agitazione da mesi contro l’opacità degli accordi tra governi e grandi imprese, che nascondono l’impatto ambientale sulla salute delle persone, anche le popolazioni dell’Arequipa, che non vogliono l’impresa Southern e il progetto Tia Maria. L’esecutivo ha dichiarato lo stato d’emergenza per 30 giorni in diverse località della zona. Vengono perciò sospesi alcuni diritti costituzionali e la polizia manterrà il controllo con l’appoggio delle Forze armate.
Dopo qualche iniziale speranza, il governo di Ollanta Humala ha perso sempre più la fiducia della sinistra e delle organizzazioni popolari, che lo accusano di aver ceduto alle grandi imprese e al controllo militare Usa. Le politiche di privatizzazioni sono infatti al centro dell’Alleanza del Pacifico, a cui il Perù partecipa insieme a Messico, Colombia e Cile e che all’Onu hanno definito il quadro di nuovi accordi. E se anche il Cile di Michelle Bachelet promette di porsi come ponte con il Mercosur, il quadro prefigurato dall’Alleanza del Pacifico è assai distante da quello definito dai paesi dell’Alba, l’Alleanza per i popoli della nostra America, ideata da Cuba e Venezuela. Messico, Colombia, Cile e Perù, producono un Pil annuo che supera i 2 miliardi di dollari (il 35% di quello del continente latinoamericano) e, dopo la Germania e davanti a Russia e Brasile, costituiscono la sesta potenza mondiale.